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Devono continuare a chiamarsi bistecche, salsicce e hamburger solo quelle ottenute dalla carne per non ingannare i consumatori sulle reali caratteristiche del prodotto. E’ quanto afferma la Coldiretti in riferimento al voto del parlamento europeo sull’abolizione del divieto di definire carne qualcosa che non arriva dal mondo animale. 

“E’ inaccettabile: un furto di identità che, oltretutto, provoca confusione nel carrello della spesa – evidenziano Roberto Moncalvo presidente di Coldiretti Piemonte e Bruno Rivarossa Delegato Confederale -.  I consumatori rischiano di trovare sugli scaffali finti hamburger con soia, spezie ed esaltatori di sapore o false salsicce riempite con ceci, lenticchie, piselli, succo di barbabietola o edulcoranti grazie alla possibilità di utilizzare nomi come «burger vegano» e «bistecca vegana», bresaola, salame, mortadella vegetariani o vegani con l’unico limite di specificare sull’etichetta che tali prodotti non contengono carne”.

Il Piemonte, per quanto riguarda la carne, detiene il primato in Italia nella valorizzazione delle carni da razze storiche italiane e la zootecnia riveste un ruolo di grande importanza per il tessuto economico regionale. La filiera bovina conta 800 mila capi e circa 7 mila aziende, quella suina 1 milione e 200 mila capi per 3 mila aziende, quella ovina 122 mila capi per oltre 2 mila aziende, quella caprina più di 67 mila capi e oltre 3 mila aziende, quella avicola oltre 32 milioni di capi per 1158 aziende e quella cunicola oltre 2 milioni di capi e 110 aziende. 

“La carne ed i prodotti a base di carne fanno parte della dieta tradizionale del territorio piemontese le cui ricette, tramandate nei secoli, appartengono di fatto al nostro patrimonio gastronomico italiano e permettere a dei mix vegetali di utilizzare la denominazione di« carne» significa favorire prodotti ultra-trasformati con ingredienti frutto di procedimenti produttivi molto spinti dei quali, oltretutto, non si conosce nemmeno la provenienza della materia prima visto che l’Unione Europea importa ogni anno milioni di tonnellate di materia prima vegetale da tutto il mondo – proseguono Moncalvo e Rivarossa -. Una strategia di marketing con la quale si approfitta deliberatamente della notorietà e tradizione delle denominazioni di maggior successo della filiera tradizionale dell’allevamento italiano con il solo scopo di attrarre l’attenzione dei consumatori, rischiando di indurli a pensare che questi prodotti siano dei sostituti, per gusto e valori nutrizionali, della carne e dei prodotti a base di carne. Occorre regolamentare con trasparenza sull’etichetta il consumo di nuovi prodotti che sono entrati a far parte della spesa degli italiani senza equivoci che rischiano di limitare la libertà di scelta dei consumatori”.