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Motivazioni e considerazioni spiegate dal Presidente dell’Osservatorio Ristorazione dell’agenzia RistoratoreTop, Lorenzo Ferrari.

Horecanews ha riportato la fotografia scattata dall’Osservatorio Ristorazione dell’agenzia RistoratoreTop, elaborando i dati di Movimprese e FIPE, incrociandoli con dati interni sulle variazioni di prezzo e le sue motivazioni.

Secondo l’Osservatorio, il 2024 ha registrato due importanti record per la ristorazione italiana: da un lato la crescita dei consumi, la più alta dal periodo pre-pandemia con oltre 96 miliardi di euro spesi per mangiare fuori casa, dall’altro il saldo negativo più corposo dell’ultimo decennio tra imprese iscritte e cessate presso le Camere di Commercio: -19.019.
Tra i principali fattori alla base di questa forbice tra calo del numero di attività e crescita del fatturato complessivo, spicca l’aumento dei prezzi applicato dalla maggior parte dei ristoratori, causato dall’innalzarsi dei costi vivi e dall’inflazione, quantificabile per l’anno passato nel 6% in più del 2023, +19% dal 2020. Quanto alle principali province italiane, la maglia nera per numero di locali spariti spetta a Roma, -495, mentre a Bologna per percentuale sul totale: -3% sul 2023. Bene ha tenuto il Sud con Palermo e Napoli in segno positivo, seguite da Firenze.

E ancora, nel 2024 le attività registrate alle Camere di Commercio sono diminuite per il
quarto anno consecutivo, nello specifico dell’1,26% sul 2023, pari a 4.903 unità, attestandosi a 382.680. Valori simili rispetto a quelle attive, che scendono di 4.038, -1,22%, per un totale di 327.850. I segnali più preoccupanti arrivano però dal saldo tra le 10.719 nuove iscrizioni e il record negativo dell’ultimo decennio rappresentato dalle 29.019 cessazioni, in aumento del 3,6%: -19.019 attività ristorative, differenziale che batte l’altro record amaro del 2023 con -17.693 imprese.

Lorenzo Ferrari, Presidente dell’Osservatorio Ristorazione e AD di RistoratoreTop interpreta e
traduce questi importanti valori: “Per quanto possa sembrare incoraggiante il dato pubblicato sui 96 miliardi spesi dagli italiani per mangiare fuori casa, se accostato alle 29.019 cessazioni a fronte di appena 10.719 nuove aperture, è indicativo esattamente del contrario: la ristorazione italiana sta attraversando una crisi strutturale caratterizzata da forte sfiducia da parte degli imprenditori.
Questi dati ci raccontano che mangiare al ristorante sta diventando sempre più un lusso per la maggior parte degli italiani e non passerà molto tempo prima che cambino frequenza e abitudini di consumo anche per la fetta di utenza altospendente che sta tenendo in piedi il settore. Stanno sopravvivendo o addirittura fiorendo quelle attività che hanno saputo intercettare e interpretare i bisogni dei clienti, sempre più orientati a vivere un’esperienza, le rivoluzioni tecnologiche e lo snellimento dei modelli di business”.

“Nelle grandi città, ovvero quelle che hanno perso il maggior numero di ristoranti, abbiamo assistito al consolidarsi di tre fenomeni comparsi nel settore già da qualche anno: la crescita delle dark kitchen come braccio operativo di numerosi brand virtuali, spesso sotto l’egida di una singola società; l’orientamento verso l’apertura di locali scalabili, ovvero replicabili e trasformabili in catene; l’apertura di ristoranti nati per cavalcare l’hype da novità e durare non più di tre anni per poi chiudere e riaprire con un nuovo brand e una nuova offerta gastronomica. Si tratta di chiari segnali di quanto molti imprenditori del settore stiano rimodellando il proprio business per venire incontro al potere d’acquisto dei clienti e collocarsi nella fascia “accessibile-cool”. Contestualmente, si rafforza il ritorno alle cucine tradizionali e ai locali dalle identità ben definite, con menu più concisi e ottimizzati. Il denominatore comune al fiorire di queste attività è l’utilizzo della tecnologia dentro e fuori il locale, soprattutto nel rapporto coi clienti e nelle attività di comunicazione e marketing” conclude Ferrari.