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Inventarsi l’inventato e primeggiare

La moda attuale in ogni settore di ristorazione e arte bianca è considerarsi i “primi” a lanciare un nuovo piatto, una nuova soluzione gastronomica, una nuova pizza, soprattutto. Il settore pizzeria sotto questo aspetto è sicuramente il più vivace e attivo. Ormai non basta più essere un bravo pizzaiolo, bisogna essere maestro o istruttore, e oggi anche pizzachef.

Conosco e seguo questo settore da oltre quarant’anni. Negli anni Sessanta/settanta la pizza era il parente povero nella ristorazione italiana, i locali pizzerie erano tanto semplici quanto essenziali, frequentati di domenica dalle famigliole che non potevano spendere, e la notte da nottambuli e persone poco raccomandabili. Non esistevano regole per gli impasti, tutto era tramandato e insegnato verbalmente, in menu 5 pizze, dalla marinara alla margherita, dalla quattro stagioni alla capricciosa e poi il calzone. Eventuali varianti erano quel poco di più di mozzarella piuttosto che qualche verdurina grigliata. Avevano maggiori considerazioni le osterie e le trattorie, i ristoranti di buon livello erano pochissimi. Questo nelle grandi città, in provincia andava meglio.

Con gli anni Ottanta si aprì un varco attraverso la fondazione di associazioni del settore, la prima fu l’Associazione Pizzaioli Europei (APES) e poi l’Associazione Pizzerie Italiane, a seguire l’Associazione Verace Pizza Napoletana e infinite altre negli anni. Non parliamo poi delle scuole di pizza: all’improvviso molti dei pizzaioli di maggiore fama si autoproclamarono “maestri di pizza”, divenendo “tecnici” di grandi molini alla ricerca di miscele, miglioratori e lieviti sempre più performanti. Il via a questo protagonismo esasperato lo dettero i campionati, voluti per far conoscere meglio al pubblico il prodotto pizza e permettere ai pizzaioli di incontrarsi e scambiarsi notizie e conoscenze.

Purtroppo, si rivelarono un volano inarrestabile perché i partecipanti si innamorarono delle competizioni come una droga. Un fenomeno che trascina decine e centinaia di giovani professionisti da un capo all’altro del mondo per partecipare a qualsiasi iniziativa che preveda una coppa e una premiazione.
La pizza così raggiunse anche grandi personaggi che mai l’avrebbero considerata, parlo di grandi chef da Marchesi a Cracco, Alajmo, Perbellini, i fratelli Cerea…La storia della moderna evoluzione della pizza, passata anche dal riconoscimento Unesco della pizza napoletana, è lunga tortuosa e burrascosa come potrebbero essere le rapide di un fiume in piena.
Oggi siamo alla dissociazione, al protagonismo assoluto dove tutto si può provare e proporre in nome di un social marketing esasperato dove se non si parla di te sei un nessuno, ma soprattutto dove il nuovo, il diverso, l’improbabile, l’inconsueto, lo choccante gioca la partita.

E allora può capitare che proprio nel più profondo tradizionale Sud si possa incontrare la “pizza molecolare” con utilizzo di alghe per la fluorescenza del piatto, altri locali propongono sulla pizza gusti inusuali persino nelle grandi cucine stellate: cipolla acidulata al lampone, verza rossa saltata con senape al miele, carne di coccodrillo alla brace ( il sapore ricorda molto il pollo!) mentre va precisato che, al di là di quanto tanto marketing proclama, la pizza con l’ananas non è una novità ma ha già compiuto i suoi bei 40anni… presentata a Napoli e proclamata vincitrice del concorso pizzaioli nel 1984.

Come dire che fare novità è facile, se ci si rivolge a persone che non hanno memoria e conoscenza.

Buona pizza a tutti, W la pizza!!!