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E’ ora disponibile sul sito www.valcalepio.org la registrazione del convegno “Vitigni resistenti: passato, presente e futuro” ideato dal Consorzio Tutela Valcalepio svoltosi lo scorso 14 ottobre 2023 nella Sala Alabastro del Centro Congressi Papa Giovanni XXIII a Bergamo.

Un incontro di matrice tecnico-scientifica che ha visto alternarsi sul palco 7 personalità del mondo accademico e della ricerca vitivinicola italiana, 1 rappresentante della realtà vitivinicola accademica Slovena e due relazioni scritte relative alle realtà Francese e Romena. 

Ad aprire l’incontro, che ha rappresentato anche la conclusione ufficiale del XIX Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme”, l’enologo Sergio Cantoni, direttore del Concorso, ha voluto citare un aforisma latino ripreso da Riccardo Cotarella nell’ultimo editoriale dell’Enologo. “Rari Nantes in Pelago Profundo”, ovvero “sono pochi i nuotatori in grado di nuotare nel mare profondo”, un richiamo ad un emistichio dell’Eneide virgiliana che rappresenta perfettamente quello che è il panorama attuale dell’enologia italiana. 

Il mare dell’enologia italiana attuale, però,” ha detto Cantoni “non è solo profondo ma anche agitato da continui attacchi ai quali il comparto non stato in grado di rispondere adeguatamente. Basti pensare alle accuse che pendono sul vino: l’alcol fa male, in vigneto si usano troppi trattamenti. E come rispondiamo noi? Dicendo di bere con moderazione. E’ ora di smettere di difendersi!”. Cantoni ha proseguito sostenendo che il mondo del vino italiano non stia investendo sui due ambiti che potrebbero aiutare a sventare la crisi che pende come una spada di Damocle sul comparto: la comunicazione e la ricerca. Una comunicazione fantasiosa e non mirata solo a vendere il vino ad un prezzo più alto, bensì a trasmettere il prodotto vino come parte di uno stile di vita, momento di piacere, convivialità ed emozione. E una ricerca in grado di risolvere i problemi veri dei viticoltori, ad esempio quello dei trattamenti ma anche quello delle malattie non espressamente crittogamiche. 

“Ai relatori di oggi chiediamo”, ha chiosato Cantoni, “a che punto siamo con la ricerca e la proposta di vitigni tolleranti; ma chiediamo anche una prospettiva, non solo per quanto riguarda odio o peronospora. In poche parole: cosa rispondo al contadino che mi chiede cosa piantare per stare tranquillo per qualche anno? Serve una risposta chiara e univoca ché parlare di PIWI come se fossero una sola varietà è sbagliato e traviante per il pubblico: i PIWI sono tanti, diversi tra loro, oggetto di studi e attenta osservazione.”

Il professor Luigi Bavaresco dell’Università del Sacro Cuore ha invitato il mondo del vino a lavorare affinché si riesca “a far divenire il comparto vitivinicolo il campione della sostenibilità ambientale per mettere a tacere tutti i detrattori del vino. Bisogna dimostrare loro che un mondo senza vino è decisamente un mondo peggiore di un mondo con il vino. Va enfatizzato il valore culturale del vino. La storia delle varietà resistenti è lunga e ricca di ricerche internazionali molto interessanti che potrebbero rappresentare una soluzione a questi problemi”.

Bavaresco ha sottolineato che nel registro nazionale delle varietà coltivabili sono ammesse ad oggi 36 varietà cosiddette resistenti. Nella maggiorparte dei casi sono vinifera simile per quanto riguarda il profilo sensoriale (soprattutto i bianchi) ma non sono del tutto resistenti alle malattie, necessitano comunque di qualche trattamento e ottengono risultati migliori se coltivati in ambiente di breeding o similare (torniamo qui al fondamentale concetto del terroir).

Tra le prospettive per il futuro lavoro di ricerca Bavaresco ha inserito la necessità di tenere a mente anche il profilo organolettico di questi vitigni e non solo quello della resistenza alle malattie, l’urgenza di ampliare lo spettro delle malattie possibili per valutare nuove resistenze e la possibilità di creare un ente nazionale di valutazione dei risultati ottenuti, su ispirazione di quanto avviene in Francia.

Nel suo intervento il dottor Marco Stefanini, in rappresentanza dell’istituto Edmund Mach, ha voluto ricordare che “la sostenibilità sociale ed economica si ottiene anche migliorando l’interazione Genotipo X Ambiente”, sottolineando cioè quanto l’ambiente, il terrori, sia soggetto a cambiamenti continui e come l’unica soluzione possibile sia quella di cercare di adattare le varietà di vite in modo da permettere loro di produrre nel nostro “nuovo” ambiente.

I concetti di resistenza e tolleranza sono stati ripresi da Stefanini che ha tenuto a precisare che resistenza è la capacità della pianta di opporsi alla malattia; tolleranza è, invece, la capacità dell’ospite di sopportare lo sviluppo del patogeno senza subire danni apprezzabili. “Non esiste immunità! Al momento l’obiettivo principale per noi in ottica di sostenibilità ambientale ed economica è la riduzione dei trattamenti. Ai nostri viticoltori diamo 3 indicazioni:

sarà comunque necessario trattare le viti, ma i trattamenti saranno ridotti del 70%
Resistenza non è immunità
Non esiste ancora una resistenza agli insetti.
E’ fondamentale comunicare correttamente: le varietà resistenti sono un contributo non la soluzione a tutti i problemi della viticoltura.

Tuttavia nelle aree nelle quali c’è promiscuità tra viticoltura e ambiente urbano i PIWI potrebbero rappresentare un modo di salvaguardare i vigneti che altrimenti andrebbero espiantati”.

Ermanno Murari dei Vivai Cooperativi Rauscedo ha aperto il suo intervento soffermandosi sul concetto di sostenibilità che è sì ambientale (e quindi in ottica di riduzione di trattamenti ed emissioni) ma che deve anche essere sostenibilità economica e sostenibilità sociale, vista la vicinanza dei vigneti ai centri abitati. “E’ anche auspicabile una sostenibilità istituzionale” ha aggiunto, che possa dirimere la confusione di marchi e slogan che rischiano di trarre in inganno il consumatore. Murari ha ricordato che spesso dietro alla commercializzazione di vini prodotti con vitigni resistenti c’è una grande ricerca di marketing per quanto riguarda la scelta del nome del vino e la creazione delle etichette e ha chiuso ricordando l’importanza della ricerca e dell’arte della scienza. “Gli incroci sono una cosa seria, decisamente non semplice. Poniamo il caso che un giorno Einstein incontri Marilyn Monroe. Il figlio dei due potrebbe uscire bello come l’attrice e intelligente come lo scienziato. Ma, attenzione, senza uno studio dietro potrebbe anche uscire brutto come Einstein e intelligente come Monroe!. Ecco perché è necessario continuare a studiare e lavorare sulla ricerca di vitigni resistenti che ci aiutino a raggiungere i risultati che auspichiamo.”

“I vitigni PIWI sono uno strumento per rispondere alle sfide della viticoltura (lombarda)” ha esordito il professor Davide Modina dell’Università degli Studi di Milano. “Certo, il primo scoglio da superare è quello costituito dal fatto che ci sono poche informazioni sulle quali basare delle scelte razionali se non dopo onerose prove a carico dei produttori.” Il primo passaggio, quindi, è proprio quello della ricerca, di cui si sta occupando l’università nell’ambito del progetto VITAVAL. Due i concetti principali portati avanti da Modina:

visti i risultati delle microvinificazioni sperimentali, per evitare problemi in fase di degustazione, bisogna valutare attentamente le tecniche di vinificazione. “Se questi vitigni sono nuovi, forse le tecniche di vinificazione standard e tradizionali non si adattano alle loro esigenze. Può darsi che sia il caso di creare nuove tecniche di vinificazione in grado di risolvere eventuali problematiche”
“E’ impensabile che tutti i PIWI vadano bene ovunque!” Torna quindi l’invito a valutare attentamente l’interazione tra genotipo e ambiente per ottenere i risultati auspicati e massimizzare la qualità.
Il professor Frank Cus dell’Università di Ljubljana ha presentato un interessante analisi della realtà produttiva slovena. “Meglio parlare di vitigni tolleranti che resistenti onde evitare di creare false aspettative nei viticoltori” ha detto Cus. Quello che sembra accomunare Slovenia e Italia è la necessità di ridurre il consume dei pesticidi, motivazione primaria che ha spinto alla ricerca di varietà tolleranti. “Anche in Slovenia c’è stato un grande dibattito in merito alla possibilità di includere questi vitigni delle DOP ma vale la pena ricordare che, attualmente, il consumatore ha una conoscenza davvero minima e limitata di queste varietà” ha concluso il ricercatore sloveno.

Nella sua relazione Luca Gonzato di vinievitiresistenti.it ha citato numerosi dati. Tra i più interessanti:

Su 680.000 ettari di vigneto Italia i PIWI occupano lo 0,3%

I produttori con vini PIWI in commercio sono attualmente 165, prevalentemente distribuiti tra Veneto e Trentino-Alto Adige. Una buona parte di questi produttori coltiva solo varietà resistenti. Sono tutti piccolissimi produttori (i più grandi dichiarano 5 ettari di vigneto coltivato, in un solo caso si parla di 18 ettari). 350 risultano essere i vini PIWI in commercio, in prevalenza bianchi.

La stima di produzione supera il milione di bottiglie. Nel 40% dei casi viene riportato il marchio IGT in etichetta (per ovvie ragioni geografiche si tratta di IGT Veneto e IGT delle Dolomiti).
La professoressa Francesca Venturi dell’Università di Pisa si è concentrata invece sulla comparazione sensoriale dei vini da vitigni tradizionali e vini da vitigni resistenti. “Se mi chiedessero se i vitigni tradizionali danno buoni vini risponderei che dipende, a volte si a volte no. Lo stesso vale per i vitigni resistenti” ha affermato la professoressa. Interessante la prospettiva sul vino non più come alimento bensì come elemento culturale. “Cosa aggiunge il vino alla nostra vita oggi? Non è certamente più un alimento, ma aggiunge un aspetto emozionale e di convivialità alle situazioni che viviamo e anche questo è molto importante”. I risultati presentati da Venturi seguono un nuovo protocollo di degustazione che consente la ricerca e l’analisi di descrittori emozionali innovativi e decisamente stimolanti.

Per quanto riguarda l’inserimento di questi vitigni nelle DOC Venturi ha chiosato “Ci sono voluti secoli per stabilire le basi delle DOC, non possiamo ora pensare di far entrare qualcuno che non conosciamo. Magari le migliorano, ma bisogna ragionarci”. Un nuovo invito quindi all’istituzione di un osservatorio che possa seguire questi vini in parallelo a quelli tradizioni per capire come lavorarli e se possono aggiungere un quid emotivo ai nostri vini.

In chiusura Filippo Mobrici, vicepresidente di Federdoc e del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato ha affrontato la questione della possibilità di inserire questi vitigni nelle DOC, ufficialmente autorizzato dalla Comunità Europea a partire dal 2022. “Federdoc ha demandato ai singoli consorzi la parte sperimentale e di valutazione” ha detto Mobrici. “Molto importante tornare a parlare di vocazionalità”, ogni territorio ha necessità diverse, “siamo davvero sicuri che in tutti gli areali abbiamo bisogno dei PIWI?”. Al tempo stesso Mobrici ha ricordato che le DOC di un tempo non sono quelle di oggi e che i disciplinari vanno aggiornati lasciando l’apertura ai singoli consorzi di eventualmente valutare di inserire percentuali di queste varietà al loro interno. “Abbiamo bisogno dei PIWI ma vanno sperimentati, vanno messi alla prova nel tempo e su diversi areali” ha concluso Mobrici.