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Tra il 30esimo e il 50esimo parallelo. Da sempre, chi ama e conosce i vini sa che la vitis vinifera dà frutti in tutto il mondo, seppur con esiti diversi per clima, tradizioni e tecnologie, ma rigorosamente in questo intervallo di latitudine. Il limite massimo a nord, il 50esimo parallelo, era raggiunto dalle terre della Champagne che dal freddo traevano la spinta acida per produrre vini vibranti e complessi, con un potenziale evolutivo infinito. Negli anni abbiamo imparato a conoscere e apprezzare vini da luoghi che apparivano remoti e inconsueti: lo Chardonnay profumato della Tasmania, il Sauvignon neozelandese, l’ottimo Pinot Noir dell’Oregon. Ma oggi il cambiamento climatico, unito all’evoluzione delle tecniche agricole e all’utilizzo di vitigni resistenti (i cosiddetti PIWI) ha scardinato anche il caposaldo della latitudine, permettendoci di fare un vero tour mondiale nel calice. O di aggiungere, alla meta delle vacanze, una visita in cantina che fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile.

Il debutto del Grande Nord. Gli sparkling wine del Sussex – stesso terroir della Champagne, clima addolcito negli ultimi anni – hanno iniziato a farsi strada tra gli appassionati. Ma, ancora più inconsueto per noi mediterranei, la vite inizia a dare i suoi frutti nei Paesi nordici: Danimarca, Svezia, Norvegia. In Danimarca, la pioniera, ci sono circa un centinaio di aziende vinicole, con la regione di Dons, nel sud, titolare dell’unica Dop scandinava grazie al viticoltore Sven Moesgaard, che ha piantato le prime barbatelle nel 2001. Sono una trentina le cantine in Svezia e una dozzina in Norvegia, tutte coltivano varietà resistenti al freddo come Solaris, Rondo, Vidal. «Sono svedese e vivo in Italia dal 1995; all’inizio sui vini della mia terra ero molto prevenuta, ma dopo gli assaggi ho dovuto ricredermi: la qualità inizia a emergere». Therése Lönnqvist, sommelier Ais e degustatrice, organizza serate di tasting per far scoprire i vini svedesi all’Italia: «È affascinante seguire la nascita di un’agricoltura; in media abbiamo avuto solo 15 vendemmie in tutto, quindi le prove nel calice sono poche, ma i miglioramenti già si vedono. E c’è tanta sperimentazione; sugli affinamenti, ad esempio, insieme al classico rovere francese si stanno provando botti in legno svedese». Gli ostacoli più importanti? Il freddo e la luce, sia quando è poca, sia quando è troppa, spiega Lönnqvist: «La maggior parte dei vigneti è vicino al mare, in zone che non gelano. Le piante sono coltivate più alte, con più foglie, per catturare tutta la luce possibile. D’estate, al contrario, quando il sole non tramonta mai, crescono così rapidamente che vanno potate ogni pochi giorni». Parla italiano una delle più note cantine nordiche, creata dalla coppia italo-svedese Andrea Guerra ed Emma Serner, che ha fondato la sua Langmyre Vineri sull’isola di Gotland. «Abbiamo cinque ettari vitati. Coltiviamo Fleurtai, Soreli e Sauvignon Kretos che assembliamo nel Pinta, un vino bianco con note di sambuco e frutta tropicale, che ricorda molto un Sauvignon Blanc. Abbiamo Merlot Kanthus e Cabernet Volos per i rossi e il solo Merlot Kanhus per il rosato, che ha sentori di mirtilli, uva spina ed erbe aromatiche. L’obiettivo, che spero di raggiungere in un paio di anni, è di produrre una bottiglia per pianta, quindi 26mila circa». Il vino di Andrea Guerra si degusta solo in cantina e nei ristoranti locali; una curiosità in più per chi quest’anno visiterà la Svezia. Brindisi tricolori anche sul fiordo di Oslo con Norsk Vin, fondata nel 2017 dal piemontese Danilo Costamagna, che sperimenta con Solaris per vini bianchi e spumanti e Rondo per rossi e rosé. Innamorato della Norvegia dall’Erasmus, è tornato per sviluppare la viticoltura sfruttando la vicinanza con il fiordo, che mantiene temperature accettabili per le viti. Sul sito si possono prenotare degustazioni dei suoi vini che, data la produzione molto ridotta, si trovano solo in loco. Da visitare anche Eventyrvin, letteralmente “vini da favola” a Gvarv, 150 chilometri a sud-ovest di Oslo: poco più di un ettaro per uno dei vigneti più a nord del mondo. Bjørn Bergum invece le viti le ha piantate nel 2014 in Norvergia, lungo il 61esimo parallelo nord, vincendo una sfida che sembrava impossibile. Slinde Vineyard, la sua azienda, merita una visita per la posizione unica all’interno di un fiordo. Il panorama è incredibile: viticoltura eroica, con vigneti quasi in bilico su pendii scoscesi, e il mare turchese che luccica poco distante.

Le vigne di Langmyre Vineri sull’isola di Gotland.

Dal Messico alla Cina. Non solo sono i vini che arrivano dal freddo ad attirare l’attenzione di esperti e wine lover. I risultati del Concours Mondial de Bruxelles 2023, da poco terminato, parlano chiaro: se le classiche Francia e penisola iberica sono in testa alla classifica generale (a guidare, le zone di Bordeaux e dell’Aragona), le medaglie per i singoli vini, assegnate da una giuria di esperti di 45 nazionalità, sono andate a sorprese internazionali. Il bianco che ha ottenuto il punteggio più alto è il Cenzontle e arriva dalla Valle de Guadalupe, in Messico, mentre il rosso vincitore, il Vineyards Selection Tenevo, un blend di Merlot, Cabernet Franc e Petit Verdot, è bulgaro, prodotto da Villa Yambol. Conferma Guido Invernizzi, docente Ais con grande esperienza sui vini dal mondo: «Ormai si beve benissimo quasi ovunque. In Grecia, a Cipro, in Turchia, dove nella Tracia fanno vini rossi straordinari. In Anatolia, in Kurdistan. E in tutti i Paesi dell’Est, culla della viticoltura storica, che dopo la caduta del muro sono tornati a fare vini eccellenti, sia con vitigni autoctoni che internazionali. Ungheria, Romania, Bulgaria: prenotate una visita in cantina se siete in viaggio da quelle parti e ve ne renderete conto». Invernizzi oltre all’Europa cita un outsider che si sta rapidamente imponendo all’attenzione globale: «Se ne avete occasione, provate i vini cinesi. Ci sono ottimi rossi con taglio bordolese e notevoli ice wine. Per me è uno dei Paesi da tenere d’occhio con più attenzione». E la curiosità dei wine lover si sposta anche fino a lambire l’Himalaya, dove la Bhutan Wine Company sta coltivando circa 15 ettari vitati in sette diverse aree per preparare la prima vendemmia, nel 2024. Sul sito si può prenotare il viaggio per assistere a un evento davvero straordinario. Meno impegnativo un tour virtuale con Elemento Indigeno, progetto di ricerca dedicato ai vini internazionali che seleziona e distribuisce oltre 400 etichette da 70 regioni enologiche in 27 Paesi. Un catalogo che è un atlante, nel quale si può scegliere selezionando i propri gusti: un vino più morbido, più secco o più floreale, per bere bene senza pregiudizi.

Da Minorca alla Galilea. La viticoltura di Baleari e Canarie non è una novità, sempre piacevole da degustare davanti a un tramonto isolano. Ma le cantine qui si visitano soprattutto per la bellezza di viti fronte mare o inerpicate in terreni brulli e scabri. Minorca, Regione Europea della Gastronomia nel 2022, ha attualmente dieci produttori e le varietà più coltivate sono un mix tra vitigni internazionali, come Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Chardonnay, e locali, ad esempio Malvasia (nella zona del Parco Naturale della Albufera des Grau), Monastrell e Tempranillo, dal colore ciliegia brillante e con sentori di spezie e frutti rossi. A Lanzarote la zona viticola della Geria commuove e stupisce per il paesaggio lunare, dove le viti sono piantate singolarmente in buche nella nera terra vulcanica e protette dal forte vento da muretti in pietra che le circondano come un grembo. Uno scenario sorprendente e affascinante che nel 1964 è confluito nella mostra fotografica Arquitectura sin arquitectos al MoMA di New York. E dove oggi si può degustare una varietà unica al mondo, la Malvasia Vulcanica, dal sorso rotondo con inconfondibile finale minerale. Chiudiamo il nostro tour in bottiglia con i vini israeliani: una piccola produzione orientata alla qualità, le zone più vocate dove prenotare un tasting sono la Galilea, le Alture del Golan e Samaria. Praticamente non esistono più varietà autoctone, estirpate durante il dominio islamico. Oggi in Israele si coltivano vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay (ma c’è anche qualche ettaro di Barbera, Nebbiolo e Sangiovese), da vigne relativamente recenti: la moderna viticoltura israeliana inizia nel 1882 con Carmel, la prima azienda, fondata dal Barone Edmond de Rothschild.

I filari sulle colline di Minorca, alle Baleari. ©Fundació Foment del Turisme de Menorca

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Fonte IL SOLE 24 ORE