IL VIAGGIO GASTRONOMICO
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Viaggio nelle terre del Monferrato Astigiano, tra arte, paesaggio e... cose buone



1) La parrocchiale di Aramengo - 2) Il Laboratorio dei Nicola di Aramengo - 3) Anna Rosa e Gian Luigi Nicola

Complice il ritorno del sole e le calda giornata primaverile... in un bizzarro giorno d’inverno, decido di fare un giro per le colline della mia terra.
Vi siete mai resi conto di come conoscete luoghi lontani e nulla di ciò che avete dietro l’uscio di casa? Ad ogni viaggio nella mia terra, scopro cose nuove, incredibili, bellezze artistiche e paesaggi, cose buone, personaggi. Eppure erano lì da sempre, dietro l’angolo e nemmeno sconosciuti, visto che sono molti i turisti che arrivano da altre province, regioni e persino da ogni parte del mondo... come nel caso dei Nicola di Aramengo (AT).
Si parte per un viaggio “fuori porta” attraverso le alture del Monferrato Astigiano per ammirare il paesaggio collinare, i vitigni di Castelnuovo don Bosco, il complesso del Colle don Bosco, Moncucco con la sua storia di Cavalieri Templari, l’Abbazia di Vezzolano scenografica e misteriosa. Con le bellezze paesaggistiche, architettoniche e artistiche non mancano degustazioni di piatti tipici e prodotti locali.
Il viaggio prosegue attraversato le terre della Malvasia di Castelnuovo Don Bosco, della Freisa d’Asti, Barbera d’Asti, del Cortese Alto Monferrato, Piemonte Bonarda, Pelaverga e Albugnano DOC. Abbiamo degustato i Canestrelli di Aramengo, i salumi, il pane, e pranzato in un localino caratteristico a Pino d’Asti (AT), dove incontro un vecchio che si aggira per il paese con il suo cagnolino che mi viene incontro scodinzolando perchè ha già capito che da questa “forestiera”prenderà coccole. L’età canuta mi fa sperare: la memoria degli anziani è preziosa come un libro! Sono loro la memoria del tempo! Magari mi racconterà qualcosa!
L’uomo saluta e ne approfitto per fermarmi e accarezzare il cane. Chiede da dove arriviamo e cosa siamo venuti a fare in questo angolo sperduto, non c’è curiosità nelle sue parole, ma solo la voglia di parlare, tipicamente contadina. Iniziamo a dialogare, e ci indica cosa andare a vedere e dove fermarci per il pranzo, al ristorante “La Muscandia”, a Pino d’Asti, poco distante.
E inizia a raccontare: Muscandia è il nome di un territorio ancora tutto da esplorare.
L’ambiente naturale si offre in tutta la sua bellezza con ecosistemi, biodiversità, flora e fauna, geopaleontologia da scoprire. Il paesaggio boscoso porta alla mente storie segrete di elfi e folletti del bosco, ninfe dei ruscelli.
I villaggi sono piccoli borghi sperduti, ma racchiudono incredibili opere d’arte e architettura.
Tutto pare essere uscito da un racconto d’altri tempi, dove immagini il vecchio venditore ambulante che ogni tanto si spinge in questi luoghi dimenticati con il suo motocarro di mercanzia: là dove non ci sono botteghe!
Muscandia è il nome della valle, stretta, dominata dalla fitta boscaglia che si estende da Albugnano alla Valle di Passerano e sino a Pino d’Asti. Fuori da ogni rotta turistica, selvaggia e misteriosa conserva intatta la grande bellezza di anfratti, spaccature naturali, meandri, forre, dove sul fondo scorre un ruscello. Una vera ricchezza paleontologica che racchiude giacimenti fossili, con affioramenti “a vista” lungo il ruscello.
Ricche concentrazioni di conchiglie, crostacei, coralli, perfettamente conservati.
Non mancano stupendi esempi di flora e fauna, tra cui la presenza di alcune piante e animali rari o insoliti.
Ci fermiamo a pochi metri dal ristorante, per vedere la strana chiesa, molto scenografica.



1) Pino d’Asti. La facciata, con la Torre / 2) la chiesa e il millenario ulivo!



1 e 2) Pino d’Asti - la bella chiesa / 3) Andrea con il nostro battuto di carne cruda!

Il locale è ristrutturato da poco, ha una sala al piano terra e una al piano superiore, con un bel intervento di travi al soffitto, che lo rendono rustico e nel contempo tipico, ma con finezza.
Tutto è ordinato e accogliente, come il caminetto in cui arde la legna.
Il padrone, Andrea ci accoglie con un sorriso invitandoci ad accomodarci sopra. Chiedo se
posso fotografare i piatti, lo faccio sempre, non potrei senza chiedere il consenso, poi se ritengo che vada bene da consigliarvelo, ve ne faccio partecipi.
Degusteremo ottimi prodotti a km0 dell’agrimacelleria Bergandini di Serra, i tipici grissini torinesi “rubatà” di Cambiano, le verdure provengono da orti in zona.
Il menù prevede un antipasto, un primo, un secondo con contorno, a scelta dal menù del
giorno, acqua, vino sfuso, caffè. Tralasciamo il vino e il digestivo, per ovvi motivi di viaggio.
Scegliamo i salumi; gli agnolotti gobbi, agnolotti fatti a mano, molto grandi, non posso fare un confronto perchè non conosco questo tipico prodotto locale e lo assaggio per la prima volta; il brasato è tenerissimo e gustoso, con contorno di verdure. Il conto sarà di 20 euro, 10 a testa! Il dolce mi incuriosiva, ma le porzioni del pasto erano abbondanti e purtroppo avevano occupato il posto... riservatogli!
Il proprietario, Andrea ha voluto farci assaggiare la carne cruda “Nostra specialità”, ha detto, e in effetti era eccezionale ed eccellente l’olio di oliva pugliese, e la bagna cauda che fa il padre, deliziosa e delicata. In cucina, lo chef Alessandro è l’autore di questi ottimi menù.



1 e 2) Ristorante “La Muscandia” - Pino d’Asti (AT)


1) I tipici rubatà torinesi - 2) Il cotto di Serra di Buttigliera (AT)


1) Carne cruda - 2) Bagna cauda



3) Agnolotti gobbi al ragù - 2) Brasato con fagiolini e zucchine

Si riprende il viaggio, il paesaggio è stupendo, vigneti, forre, canneti.



1 e 2) Vigneti di Albugnano



1) Albugnano (AT) - Abbazia di Vezzolano / 2) Panoramica da Albugnano verso Berzano S. Pietro (AT)

Ed eccoci giunti ad Aramengo, un piccolo borgo legato a storie e leggende, quasi come se il Tempo qui si fosse fermato nei secoli scorsi. Un angolo di Piemonte dove le lancette dell’orologio battono lente e la storia parla di leggi sabaude, di una località dove sorgeva un luogo di pena e la giustizia confinava i detenuti considerati socialmente pericolosi, soggetti a “carcere duro”, di massima sicurezza, in attesa di condanna a morte, ma anche quelli condannati per reati finanziari: truffa, bancarotta, insolvenza a quei tempi erano considerati alla pari di un omicidio!
Le origini di questo luogo, sono molto antiche, pare risalgano all’Alto Medioevo, quando Asti era la capitale di un ducato longobardo, dal VI al IX secolo. A quei tempi era usanza mandarli nel comune più lontano del ducato, ai “confini”, non a caso si diceva “confinarli”.
Documenti attestano che fino al XVII secolo era sede di un Tribunale, per questo ancora oggi quando una persona va finanziariamente in rovina si dice che “Va a Ramengo”, cioè in malora. Per spregio ancora oggi dire “vai a ramengo” equivale alla classica frase di chi è arrabbiato: “Vai al Diavolo!”, e significa augurare la mala sorte, mandare qualcuno lontano, da solo, ramingo per il mondo, senza meta, senza più casa, famiglia, amici, denaro.



1 e 2 ) Da Berzano S.Pietro a Casalborgone (TO) - panoramica sulle Alpi

C’è chi invece afferma che la parola “ramengo” abbia origine dal provenzale ramec, ovvero ramo, termine con cui vengono chiamati gli uccellini che cadendo o abbandonando il nido, ma non sapendo ancora volare, saltellano di ramo in ramo e per questo errare venivano paragonati a chi ha perso tutto ed è costretto all’esilio, vagabondando per le strade senza meta e senza soldi.
Si dice che nel Settecento qui avvenissero impiccagioni, taglio delle mani e persino decapitazioni, per conto del governo subalpino. Si parla di forche dell’Intendenza, di mannaie e pietre per lapidare i debitori insolventi e i falliti.
In una vecchia casa in demolizione, erano ancora visibili dei ceppi infissi nel muro e in una cantina delle nicchie, ma anche gogne, uncini, mannaie.
Citata in documenti del 1002, in occasione dell’incoronazione di Arduino d’Ivrea re d’Italia, che concesse in commenda ereditaria a Manfredi XII di Brozolo un vasto territorio con molti possedimenti, tra i quali Aramengo.
Nel 1153 in un documento si cita Ardizzone, Signore di Aramengo.
Nel 1249 i possedimenti passarono ai Conti di Cocconato, in seguito verranno divisi tra i Marchesi del Monferrato, il Vescovo di Vercelli, i Conti Balbiano e altri feudatari.
Nel 1505 il feudo tornò ai Radicati, sino al 1586, quando vene ceduto al Duca di Savoia Carlo Emanuele I.
Nel 1704-1705 subì danni da parte delle truppe francesi impegnate nell’assedio della fortezza di Verrua Savoia. Gli ultimi signori furono i Conti Morelli (1761-1841).
Tra le cose da vedere, spicca la parrocchiale di San Giorgio e Sant’Antonio Abate, un pregevole edificio in tardo barocco, del 1809, collegato ad un grande campanile. L’interno neoclassico conserva un ricco altare, pregevoli legni intagliati, in particolare nella sagrestia e la parte dell’abside. Pregevoli i dipinti di Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo.
Ed è giunta l’ora di condurvi in un luogo meraviglioso, quanto insolito e misterioso!
Aramengo è un piccolo paese del Piemonte, in provincia di Asti sul confine con la provincia di Torino, ma è qui che si incontra uno tra i più famosi laboratori di restauro di opere d’arte del mondo e come d’incanto Aramengo diventa noto in ogni parte del globo!
La prima volta che mi recai ad Aramengo, a far visita ai Nicola, provai una strana sensazione: c’era infatti qualcosa di veramente sorprendente, quasi di stridente tra quella vecchia casa di paese, così piemontese e contadina, e la modernità dei laboratori di restauro nascosti all’interno.
Dietro un portone di quel tipo solitamente ci si aspetta di vedere appese delle pannocchie di meliga, non delle pale d’altare del Cinquecento; ci si aspetta di veder rimestare un pastone per le galline, non un impasto di colore per una madonna seicentesca
”.
Quando mi sono messa a battere sui tasti del computer, mi sono chiesta come iniziare a presentare qualcosa, qualcuno che vive in un anacronismo... fuori dal tempo e dallo Spazio, in bilico tra passato e presente, tra la luce della vita e il buio della morte. Qualcuno che seppure di origini contadine, è stato un grande uomo! Un uomo che con la sua arte ha lasciato una impronta indelebile nel nostro secolo! Un grande su cui illustri giornalisti hanno scritto pagine di storia: Guido Nicola.
I Nicola di Aramengo, il più noto laboratorio di restauri non solo d’Italia, ma del mondo! Un luogo in cui la dinastia di Guido Nicola ha saputo fermare il Tempo proiettandolo nel futuro e così ho scelto di iniziare con le sensazioni descritte da Piero Angela in occasione della visita al laboratorio, con il figlio Alberto, tratte dalla prefazione del volume “I Nicola - Storie di restauri nella storia di una famiglia”.


In verità, nessuno meglio di Piero e Alberto Angela o Vittorio Sgarbi, che in occasione della sua visita, arrivò a tarda sera con un gran seguito di amiche e amici e appena varcata la porta del grande salone esclamò: “Nutritevi d’arte” e davanti ad un magnifico dipinto, disse: “Inginocchiatevi davanti all’arte e nutritevi di cultura”, è all’altezza di aprire una parentesi sui mitici Nicola di Aramengo. Ma ora tocca a me, modesta pedina della scacchiera su cui si muovono illustri presenze che hanno avuto l’onore e il piacere di varcare la soglia di questo magico mondo dove giacciono opere distrutte e che la magia delle sapienti mani dei Nicola sanno riportare in vita, con tutto il loro splendore.
Anna Rosa Nicola mi attende davanti al cancello e mi accompagna verso il laboratorio.
Salgo i gradini e quando mi trovo davanti alla grande porta, per un attimo resto immobile, conscia che quando la aprirò mi troverò dinanzi a qualcosa di meraviglioso!
...E’un susseguirsi di meraviglie! Enormi opere d’arte, altre più piccole! Tutto attorno alla grande sala, sul grandissimo tavolo... “sonnecchiano impazienti” opere di inestimabile valore e bellezza, in un susseguirsi di stupore che non ha fine e mi accompagnerà per tutta la durata della visita regalandomi infinite sorprese. Ora comprendo quella frase di Sgarbi, ma anche senza inginocchiarmi resto estasiata, in ammirazione dinanzi a tanta bellezza.
Io che detesto chi compie scempi sulle opere d’arte incidendo i propri nomi, provo l’irresistibile piacere nel toccare quelle meraviglie: un dipinto, una scultura o qualsiasi altra cosa! E’ come se in quel momento tutta la loro storia entrasse in me ed è una emozione forte, così intensa che quasi le immagini della mente prendono vita, scorrono davanti ai miei occhi come una anamnesi! Per un istante viaggio a ritroso nel tempo e percepisco ogni sensazione che l’autore ha trasferito in quell’opera, ma anche ogni cosa che essa ha visto: tacita presenza nello scorrere del tempo, silente libro di pietra o tela dipinta è comunque testimone di eventi...


Quadri, statue, oggetti, tutte “cose morte”, lacerate dal tempo e da molteplici fattori umani, quando usciranno da qui saranno tornate a vivere e avranno un’anima, quella di coloro che pezzo dopo pezzo avranno ricomposto queste opere d’arte di inestimabile valore!
Ma ora taccio le emozioni per condurvi con me nella storia di questa stirpe di restauratori e attraverso le sale che visiterò vi farò partecipi di qualcosa che si può descrivere semplicemente con poche parole: meraviglia, stupore che dà emozioni e sensazioni, coinvolgente!
La dinasta di Guido Nicola, il fondatore di questa “oasi artistica”, da mezzo secolo tramanda l’arte del restauro ai figli Gian Luigi e Anna Rosa. Anche la moglie Maria Rosa, da sempre è una valida aiutante.
Maria Rosa, fino a pochi anni fa, prima dell’età del pensionamento, era anche lei un’abile restauratrice. Specializzata nel lavorare la carta, con polso fermo, grande sensibilità manuale, colpo d’occhio e bravura, riusciva a dividere un sottilissimo foglio di carta nel senso dello spessore. Cosa difficilissima in quanto i caratteri a stampa delle due facciate derivate dal taglio devono risultare nitidi e perfetti: provate a dividere le due facciate di un foglio di giornale! Maria Rosa era esperta nel restaurare drappi e vecchie bandiere, ventagli e antiche sete, carte da parati, cartoni e fogli disegnati, acquerelli e pastelli, lacerati o invasi da muffe o macchiati.
Ma chi è Guido Nicola, capostipite di generazioni di artisti restauratori?
Di lui trovate tutto e di tutto. Nell’inutilità di copiarle vi lascio comporre il suo nome in internet:io mi soffermo su poche notizie indispensabili per introdurvi nel suo mondo, nella sua epoca.
“Minuto, cordiale, modesto”, di lui conosco solo queste descrizioni riportate nei libri e negli articoli sui giornali, o nel libro con la sua storia. Guido Nicola, il patriarca, nasce ad Aramengo il 31 ottobre del 1921, da una famiglia di poveri contadini, ultimo di sette fratelli.
Rimasto orfano di padre in tenera età, si adattò a qualunque lavoro, conquistando anche l’affetto dei compaesani.


Aveva 18 anni quando... complice il destino, da Torino si trasferì ad Aramengo un antiquario e restauratore d’arte, Giovanni Borri, con la moglie e due figli e di uno dei due, essendo una giovanetta, Maria Rosa, Guido se ne innamorò e in seguito a vicende degne di un racconto, oltre ad apprendere l’arte del restauro, dalla loro unione nacquero Gian Luigi e Anna Rosa!
Anche Maria Rosa lavorò accanto al marito come restauratrice e poichè il destino è arbitro il laboratorio è attualmente composto da nuora, genero, nipoti figli di Gian Luigi e Anna Rosa!
Ognuno ha un proprio ruolo e si occupa di un determinato settore.
Qui c’è di tutto... e tutta la storia del mondo: carte da parato cinesi, affreschi, dipinti, sculture, carte, stoffe preziose, reperti egizi e sarcofagi, statue lignee, un grande mappamondo, uno strumento di tortura (apparentemente direi “una versione” della Vergine di Norimberga). Non manca un carro funebre d’epoca, di quelli che un tempo erano trainati da cavalli bianchi o neri, sontuosi, possenti, eleganti, bardati a lutto, come i cocchieri.
La struttura è imponente, un laboratorio con ambienti per ogni occorrenza: un salone attrezzato per il restauro di grandi tele e uno per boiseries (decorazione delle pareti con pannelli di legno o sèparé, intarsiati, incisi, intagliati, dipinti). Un laboratorio per cornici e dorature e laboratori climatizzati dotati di particolari sistemi di sicurezza e protezione dai raggi ultravioletti diretti dalla luce. Non manca un settore dedicato ai reperti egizi ed etnografici, dell’arte africana, passione di Gian Luigi.
Di stupefacente impatto visivo l’immensa sala di una ventina di metri per oltre dieci di altezza, in cui sostano su cavalletti appoggiati alle pareti o distesi su un gigantesco tavolo, pale d’altare, sculture in legno, tele, trittici, carte e pergamene, maschere ed esemplari di arte africana, pietre e terrecotte, affreschi e stucchi, statue processionali.
Quando nel 1968 nacque questo laboratorio, ben presto giunsero opere bisognose di restauro, provenienti da musei, chiese, collezioni, tra cui pregiate opere di: Andrea del Sarto, Bassano, Caravaggio, Cranach, Casorati, De Chirico, Fontana, Guttuso, Guercino, Kandinskij, Lorenzetti, Max Ernst, Michelangelo, Paul Klee, Picasso, Rubens, Reni, Sironi, Tintoretto, Tiziano, Veronese, Van Eyck, Van Dyck, Warhol.
E tanta fu la bravura dei Nicola che si parlava di loro come di persone in grado di compiere miracoli e da ogni parte del mondo giunsero opere da salvare.
E’ stata da molti definita la “clinica per opere d’arte” perchè qui giungono opere danneggiate dall’umidità o dal calore eccessivo, dall’inquinamento, da precedenti pessimi restauri, da danni d’ogni genere e causale.
Ogni opera viene schedata, esaminata, fotografata, analizzata in profondità con raggi x, lampade all’ultravioletto, apparecchiature per analisi radiografiche digitali, riflettografia in infrarosso, videomicroscopio ed endoscopi a fibre ottiche, autoclavi per la disinfestazione anossica e per l’impregnazione sottovuoto.


Oggi per il restauro i Nicola si avvalgono di carroponti, elevatori e impianti per la sicurezza delle opere e dei restauratori.
Vengono utilizzati aspiratori, bisturi, pinzette, specilli da dentista, ultrasuoni, laser e vengono continuamente rinnovati gli impianti avvalendosi della nuova e sofisticata tecnologia per “curare” vecchie opere... malate, ferite.
C’è la falegnameria di supporto agli interventi di ebanisteria e di carpenteria per provvede alla realizzazione di telai, il gabinetto fotografico per la ripresa e lo sviluppo del bianco e nero, l’archivio contenente la documentazione fotografica di cinquant’anni di lavoro, una biblioteca specializzata con qualche decina di migliaia di volumi.
In un salone vi è un enorme scaffale che copre l’intera parete, colmo di vasi di vetro di colori in polvere di ogni sfumatura e dagli strani nomi, è la loro “biblioteca dei colori”, alcuni sono antichi, ormai introvabili, raccolti nel tempo, acquistando depositi di vecchi colorifici, mesticherie, alcune con tradizioni centenarie, appartenute a famiglie ormai scomparse o chiuse con l’avvento dei colori sintetici. In alto scatole con decorazioni ottocentesche: sono confezioni originali. Interessante quanto pregiata, questa collezione di pigmenti antichi, di cui alcuni non più in uso perchè altamente tossici, come il bianco piombo, giallo di arsenico o di cromo. Ora vi sono moderni impianti di aspirazione per i vapori dei solventi.
La moderna tecnologia si avvale della ricerca scientifica come scienza per il restauro. Oggi le opere d’arte sono oggetto di indagini complesse, eseguite preliminarmente al restauro o nel corso dell’intervento, per conoscere l’opera nella sua natura e verificare lo stato di conservazione, gli eventuali interventi subiti in passato e, a volte, svelarne la contraffazione.
L’attuale laboratorio copre 3.000 m² di superficie, con saloni di grandezza indispensabile per poter contenere le attrezzature necessarie per quelle più complesse esigenze di restauro su opere di grandi dimensioni, come le enormi tele di Pier Francesco Guala.
Tra le grandi opere che hanno soggiornato nel laboratorio dei Nicola per il restauro, alcuni pezzi rarissimi, come la “Peota Reale”, o “Bucintoro” veneziano, l'imbarcazione di rappresentanza fatta costruire da Carlo Emanuele II di Savoia a Venezia verso il 1730. La scelta di costruire una imbarcazione a Venezia anzichè nei cantieri genovesi fu dovuta alla necessità di facilitare il trasporto a Torino, lungo il fiume, essendo impossibile, a quei tempi, scavalcare gli Appennini con uno scafo così grande. Navigava sul Po, spinta dai remi di otto vogatori, trasportando il sovrano e la sua corte: è l'unico esemplare rimasto.
E’ad opera di Anna Rosa la preparazione della Sindone in occasione dell’ostensione del 1978, con la cucitura di un bordo ai lati.
In seguito a dei ritrovamenti di sculture di faraoni, cortei e divinità, risalenti ad Amenofi III lungo la Valle del Nilo, da Luxor giunsero due importanti archeologi, Mansour Boraik, Direttore Responsabile delle Antichità dell’Alto Egitto e la tedesca Carla Bellingeri Vogel per discutere con Gian Luigi su come preservare queste opere dal deterioramento da sale contenuto nel terreno.
Gian Luigi, esperto egittologo, restaurò oltre 400 sarcofagi, tele, vasi e recuperato dipinti con geroglifici per il Museo Egizio di Torino. Collaborò anche nella ricostruzione del Tempio di Ellesija e andò in missione in Sudan e a Tebe per l’università di Roma e Pisa. Nel 1992 per conto del governo egiziano si occupò di sistemi di conservazione per la grande Sfinge e di come intervenire su un blocco in cima alla piramide di Chefren che si era spostato.
Ma quando si ha a che fare con mummie si sa che non possono mancare episodi inquietanti, come rimanere chiuso nella tomba di Nefertari o restare vittima di pericolosi morsi di zanzare!
In occasione del congresso di “Torino ’71”, numerosi studiosi, direttori di musei, restauratori e artisti provenienti da ogni parte del mondo si recarono in visita al laboratorio.
C’è ancora molto da raccontare, ma per ora vi lascio in compagnia di una storia curiosa e misteriosa, legata alla dolce e giovanissima sposa di Guido Nicola.
Maria Rosa, moglie di Guido Nicola proveniva da una famiglia facoltosa, imparentata con Giuseppe Francesco Borri, famoso medico e alchimista, noto per aver progettato, per il marchese Palombara di Pietraforte, la “Porta Magica”, tuttora conservata nei giardini di piazza Vittorio a Roma.
Nel 1659 l’Inquisizione romana lo condannò al rogo, per eresia e veneficio, ma grazie alle sue capacità di terapeuta e alle amicizie influenti alle corti di nobili di Europa, la pena venne commutata in carcere a Castel Sant’Angelo. Gli venne anche concessa una struttura attrezzata a laboratorio dove poteva continuare a dedicarsi agli studi alchemici. Si può anche sottolineare che godette di privilegi: gli era consentito di uscire per esercitare come medico e di frequentare i salotti culturali dell’epoca.
Si dice che il Borri, ospite del marchese, avesse scoperto come trasformare il piombo in oro e che se ne andò facendo perdere le tracce, ma lasciando la formula negli appunti... incomprensibili! Il marchese pensò che qualcuno avrebbe potuto interpretarli e così fece costruire questa porta d’ingresso al giardino della villa, facendo incidere quegli strani segni che diedero il nome alla “Porta Magica” o “Porta Alchemica”, ma fin’ora nessuno è riuscito a decifrarla ed è uno dei pochissimi monumenti alchemici al mondo.
Le incisioni sono numerose, misteriose e affascinanti, con frasi strane, simboli ermetici e tutti sono concordi che la più intrigante è la frase sul gradino: “Si sedes non is” (Se ti siedi, non avanzi). Leggendola al contrario, da destra a sinistra, uscendo, si legge invece “Si non sedes is” (Se non ti siedi avanzi)...
Queste e altre storie di terre dimenticate, di uomini semplici e di altri famosi vi racconterò ancora, ma per ora vi lascio questa di un viaggio nel Monferrato Astigiano e della dinastia dei Nicola, quelli che riportano all’antico splendore opere che portano i segni del tempo, ma loro non sanno solo restaurarle, sanno anche darle un’anima... la loro! Maria Rosa non avrà certo scoperto la formula alchemica dell’antenato Borri, ma indubbiamente quello della felicità accanto a Guido Nicola un uomo straordinario... si! Questo è l’oro dei Nicola: Guido Nicola, Maria Rosa e i figli Anna Rosa e Gian Luigi.
info: Via Mazzini 8 - Aramengo (AT) - tel.0141909125 - www.nicolarestauri.org

testo di Alexander Màscàl
foto Matteo Saraggi e Alexander Màscàl - ASA