FATTI E PERSONE
Cibo, riscoprirne il valore sociale ne fa riscoprire l'elemento di inclusione

Nella giornata di studio organizzata dall'associazione di giornalismo ambientale Greenaccord Onlus e dall'Arsial è emerso il forte ruolo di integrazione e di crescita sociale del cibo. Un fattore sottovalutato per diffondere il dialogo interculturale. Per riuscirci però è essenziale ripensare le filiere agricole e porre di nuovo al centro i piccoli produttori

L'immigrazione è una delle sfide epocali e inevitabili del ventunesimo secolo che la società moderna sta però affrontando sempre più spesso con atteggiamenti di intolleranza verso culture e cittadini stranieri, in maggior parte popolazioni africane e asiatiche. Una sfida, quella dell'inclusione sociale e della lotta ai rigurgiti di intolleranza, che può essere condotta anche attraverso la valorizzazione del cibo come elemento culturale sul quale edificare la convivenza pacifica fra i popoli. È il messaggio lanciato dal convegno “Attorno al cibo per costruire dialogo, incontro, confronto e pace” organizzato dall'associazione di giornalismo ambientale Greenaccord Onlus, in collaborazione con la Regione Lazio e l'Arsial (Agenzia regionale per lo Sviluppo e Innovazione dell'Agricoltura del Lazio), in corso a Roma presso l'Aula Magna dell'Università Augustinianum.

“Il cibo rappresenta un elemento che, dalla sua produzione al consumo, può contribuire a vincere le resistenze, ad aprirsi al nuovo e al differente, a sperimentare forme di contaminazione che incuriosiscono e attirano attenzione”, ha detto Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord. Per rilanciare il valore sociale del cibo, ha spiegato Cauteruccio, occorre "rivoluzionare gli stili di consumo, ripensare le tecniche di produzione e ricostruire le filiere agricole facendo riscoprire loro i saperi tradizionali, in modo da ridurre l'impatto ambientale e sociale dell'agricoltura e riaffermare la centralità dei piccoli produttori”.

Analisi condivisa da Antonio Rosati, presidente di Arsial secondo il quale “Il cibo è un grande fattore possibile per un mondo più giusto, capace di far incontrare le persone e spezzare la solitudine. L'Italia è il Paese delle contraddizioni perché siamo un modello per la cucina mediterranea, ma abbiamo negli strati più popolari il più alto fenomeno di obesità. Questo significa - ha concluso il presidente di Arsial - che l'idea del cibo come apertura è una sfida culturale da vincere per riaccendere quell'umanità che anche nel nostro Paese rischia di venire meno".

Per  Ernesto Di Renzo, storico dell'alimentazione Università di Tor Vergata, fondamentale è l'uso culturale del cibo, "un fatto che appare scontato ma nella realtà non è così. Il cibo non è soltanto il modo in cui trasformiamo gli ingredienti in ricette da esibire al consumismo. Dire che il cibo è cultura significa riconoscere che è portatore di una dimensione immateriale e simbolica di fondamentale importanza sociale ed è strumento per la realizzazione di vincoli solidaristici".

Sandro Di Castro, ex presidente della comunità ebraica romana, ha sottolineato come “la cucina giudaico-romanesca storicamente è stata alla base dell'integrazione della nostra comunità”. Quanto al tradizionale cibo kosher, Di Castro ha spiegato le regole ferree sull'uso del cibo, dovute alle attività dei popoli ma anche alla mistica ebraica. “Non a caso la prima trasgressione fatta da un uomo avviene proprio attraverso il cibo. La vera trasgressione non è stata mangiare un frutto proibito ma non averne dato un giusto valore, facendo prevalere il desiderio”. 

Integrazione è anche emancipazione in particolare per le persone diversamente abili. Un obiettivo che si può raggiungere con percorsi lavorativi nel settore agricolo, come dimostra la storia di Agricoltura Capodarco, testimoniata dal presidente Salvatore Stingo. “Il nostro progetto ha portato avanti l'idea di fratellanza, accoglienza e emancipazione per tutti attraverso una realizzazione pratica come quella legata alla riconciliazione con la natura, il mondo agricolo e il cibo. L'agricoltura è un mezzo sociale eccezionale che può produrre benessere, integrazione, opportunità per tante persone diversamente abili alle quali abbiamo dato un riconoscimento importante con gesti semplici e comprensibili a tutti”.

Ma il cibo è occasione di riconoscimento e crescita economica e sociale anche per i migranti. Lo conferma Pier Paolo Venezia, responsabile di Slow Food Roma: “i migranti esistono e spesso sono costretti a vivere in condizioni indegne. Per questo motivo abbiamo lanciato con i ragazzi del Baobab di Roma il progetto delle Tavole Solidali, ovvero serate di convivenza mirate all'inclusione e all'integrazione, durante le quali il cibo non è più solo uno strumento per sfamare i bisognosi ma un'esperienza di solidarietà che serve a riportare quel calore umano intorno al cibo che sempre più viene meno nella nostra società”.

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