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La “pesca fantasma” minaccia i mari

La tecnologia scende in campo per sconfiggere la ‘pesca fantasma’, tra i nemici più insidiosi dell’ecosistema marino. Sono le attrezzature da pesca abbandonate, perse o dismesse nei fondali che possono continuare a ‘vivere’ negli abissi per decenni, intrappolando e uccidendo la fauna, desertificando l’area, ma anche provocando un pericolo per la navigazione. Il fenomeno si è acuito negli ultimi decenni tanto da rappresentare un quinto dei rifiuti marini globali; questo a causa dell’aumento delle attività di pesca e soprattutto per l’ampio uso di materiali sintetici di lunga durata. Un’emergenza mondiale che trova un valido alleato in boe satellitari, chip cifrati e ricevitori Gps di ultima generazione in grado di segnalare le strumentazioni abbandonate. Non è un caso che la Fao si sia messa al lavoro per la stesura di linee guida internazionali in modo da regolamentare un’efficace monitoraggio e recupero delle attrezzature, i cui primi risultati sono attesi per il prossimo luglio. Un problema molto sentito anche in Italia dove, grazie ad un progetto dell’Alleanza delle Cooperative pesca in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria, i pescatori con i loro pescherecci hanno recuperato 2,5 tonnellate tra reti fantasma e attrezzi dispersi, proponendosi a ‘sentinelle dei mari’.

Le reti e gli altri attrezzi da pesca vengono smarriti soprattutto a causa delle condizioni meteo marine avverse. A spiegarlo è la Federcoopesca-Confcooperative che evidenzia le cause di questo ‘inquinamento fantasma’, quasi sempre accidentale. Tra le ragioni più frequenti ci sono le cosiddette ‘afferrature’, ossia quando l’attrezzo di un’imbarcazione si impiglia su uno scoglio o in un relitto, ma anche per errate manovre del pescatore che, in tali casi, si vede costretto ad abbandonare la sua strumentazione. Oltre allo smarrimento, in mare si possono trovare parti di attrezzi che non vengono correttamente smaltiti. A rendere più o meno pericolosi gli attrezzi fantasma per la fauna marina, è ovviamente la tipologia dello strumento, ma anche la natura del fondale e il tempo di permanenza in mare. Le incrostazioni, infatti, ne riducono l’efficienza e di conseguenza il cosiddetto ‘potere catturante’. Le attrezzature più insidiose, fa sapere Federcoopesca, sono quelle della piccola pesca costiera come reti da posta e nasse. Mentre le reti a strascico hanno un scarso potere di cattura una volta abbandonate sul fondo, quelle da posta come i tramagli continuano invece a fare ‘il loro mestiere’. Il fatto che l’estremità inferiore di queste reti sia ancorata al fondale marino e alla sommità ci siano dei galleggianti, crea le condizioni affinché nelle reti possano incidentalmente rimanere intrappolati pesci, tartarughe e mammiferi marini. Allo stesso modo, attrezzi come le nasse che stazionano sul fondo, possono continuare a pescare da sole per lunghi periodi di tempo. (www.conipiediperterra.com)

 



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