LUOGHI
Le colline del Prosecco Patrimonio dell’umanità

Le Terre delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene (terra del Prosecco Superiore) stanno mettendo a punto la loro candidatura a Patrimonio Universale dell’Umanità, riconoscimento assegnato dall’UNESCO.

Esso vuole essere un riconoscimento solenne alla capacità dell’uomo di saper cogliere l’essenza di un territorio e alla caparbietà di aiutarlo ad esprimere prodotti di straordinaria eccellenza, agendo anche in situazioni estreme, all’apparenza impossibili, pur di liberare le potenzialità nascoste, e quindi inespresse, dei luoghi.

E’ un riconoscimento all’amore quotidiano per una terra e un ambiente unici per storia, tradizione e bellezza. Valori insiti in queste colline ma che l’intuizione ed il lavoro di generazioni di uomini hanno fatto emergere, svelandole.

Un luogo che ha dato il nome ad uno dei più popolari vini al mondo, il Prosecco, un bianco diffuso nei 5 continenti e esportato in oltre 80 Paesi.

La Regione del Veneto - e con essa le Amministrazioni Comunali dei 15 Comuni di territorio, la Provincia e la Camera di Commercio di Treviso, i produttori, oltre alle migliaia di residenti che hanno voluto sottoscrivere una petizione popolare - ha deciso di avviare le procedure per richiedere il riconoscimento UNESCO. Un team di esperti, presieduto dal prof. Pietro Laureano, è al lavoro per la compilazione del Dossier tecnico attraverso il quale la Candidatura sarà proposta innanzitutto al vaglio nazionale. A coordinare il Progetto Candidatura è Associazione temporanea di scopo “Colline di Conegliano Valdobbiadene Patrimonio dell’Umanità”, attraverso l’Ipa “Terre Alte della Marca Trevigiana”.

Saranno i Ministeri per i Beni Culturali e agli Affari Esteri ad ufficializzare all’UNESCO la proposta. A Parigi, sede dell’Organizzazione, la Candidatura delle Terre del Prosecco Superiore sarà sottoposta al vaglio tecnico. E’ tra l’altro, previsto un sopralluogo di una equipe di esperti che giudicheranno la congruità della richiesta. La conclusione dell’iter, nel migliore dei casi, richiederà almeno tre anni, un tempo indubbiamente notevole ma necessario per giungere alla valutazione richiesta dall’importante provvedimento.

“Questo non vuole e non può essere un riconoscimento al Prosecco”, chiarisce il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, che della Candidatura è un convinto sostenitore. “Quel riconoscimento, da tempo, lo hanno già assegnato i consumatori di tutto il pianeta. Vuole essere il riconoscimento alla bellezza, davvero unica di un paesaggio che ha pochi pari al mondo, lo stesso che affascinò Giorgione, Tiziano, Cima da Conegliano e gli altri maestri del grande Rinascimento veneto – riprende Zaia - Un paesaggio straordinariamente bello

proprio perché plasmato, giorno dopo giorno, secolo dopo secolo, da uomini di ingegno e di impegno, capaci di entrare in simbiosi con una terra bellissima, aspra e difficile, riuscendo a domarla nel rispetto. Come accade per i purosangue selvaggi, una volta che si è stabilita una perfetta simbiosi, le molte attenzioni vengono meravigliosamente corrisposte”.

In queste colline, tra Valdobbiadene e Conegliano, il vino è sovrano da un paio di secoli. Prima qui con le viti si piantava il gelso, da cui trarre le foglie per i bachi, produttore della seta. E prima ancora, la piccola agricoltura di sussistenza e la pastorizia. In un terra in cui le poche zolle erbose si incuneavano stentatamente tra gli affioramenti dell’hogback, le formazioni rocciose che affiorano ovunque su questi ripidi pendii. Il mosaico dei piccoli appezzamenti strappati alle rocce si è andato ingrandendo. Sassi e frammenti di roccia sono stati asportati a mano nuda e spesso reimpiegati per innalzare i muri delle fattorie e delle case del posto.

Già dal 1606 qui era attiva la “Accademia degli Aspiranti”, primo esempio della futura Scuola Agraria voluta dai nobili del luogo per ragionare tra loro e con gli esperti su come poter trasformare questo territorio fragile e difficile in un ambiente che offrisse cibo per chi ci lavorava. Poi la scoperta che i forti sbalzi di temperatura potevano essere un bene: stimolando e fissando i profumi del vino.

Così, metro dopo metro, sempre più terra è stata “creata” dagli uomini, strappata ai rovi, alle ortiche e a una boscaglia di nessun pregio. Le ripide prode, in cui nulla poteva crescere o essere raccolto sono state vinte da una viticultura “eroica”, dove, per potare, seguire la crescita dell’uva o raccoglierla, si ricorreva – e lo si fa anche oggi – a legature e a piccole teleferiche. “Nulla è impossibile per l’uomo determinato”, si insegnava nelle vecchie Scuole Agrarie. Così una terra “ingrata” è stata ri-creata a luogo di delizie.

Su queste colline, difese dai venti del nord dalle prime propaggini delle Dolomiti e rivolta, a sud, verso il Mare Adriatico, l’uomo si è insediato da millenni. Ovunque, tra i vigneti e i prati fioriti, le testimonianze della sua antica presenza: castelli, monasteri, abbazie, pievi con i curiosi campanili (ve ne sono con cuspidi diversissime e del tutto originali), piccoli borghi o illustri piccole città affrescate, di impronta rinascimentale. E poi le ville della tradizione veneta e le grandi e piccole case di sasso, patrimonio di una architettura solo apparentemente “minore”, qui attentamente amato e ben conservato.

Con una storia così, non stupisce che qui si respiri l’orgoglio per la propria terra. Non c’è un centimetro che, generazione dopo generazione, non sia stato liberato da sassi e rocce.

Una terra che è madre e sorella, mai serva. Onorata e rispettata, mai violentata. Non è un caso se qui i viticoltori si siano auto imposti, tra i primi al mondo, un preciso Disciplinare di Autodisciplina, riconosciuto tra i più avanzati della viticoltura internazionale. Perché sono loro i primi a volere che questo meraviglioso patrimonio, frutto di millenni di sudore dei loro avi, continui a passare per infinite altre generazioni e per la gioia del mondo.



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