QUALITA'
Troppe ed “indifendibili” le Do e Ig del vino in Italia

Aggregarsi, perché non possono essere difese tutte all’estero. È la strada obbligata delle denominazioni del vino (e non solo) italiano, un patrimonio straordinario che però soltanto in Europa gode di una protezione legale efficace. In estrema sintesi, ecco il senso del convegno “L’origine del vino: ambiente, cultura, diritto”, nel Padiglione Vino ad Expo2015. “Do e Ig rappresentano una tendenza mondiale, che va al di là dell’Italia e dell’Ue, come dimostra il successo commerciale di prodotti come Napa Valley Wine o del Café de Colombia”, ha detto Massimo Vittori, dg della Ong di Ginevra OriGIn. Ma se c’è un’evoluzione e una tendenza in alcune parti del mondo, la cultura predominante è un’altra. “Le denominazioni sono concetto del Sud Europa, nei Paesi anglosassoni non esistono. Conoscono – ha spiegato il presidente di FederDoc, Riccardo Ricci Curbastro - solo il trademark, la loro logica è business is business”. E, al di là di questo, le denominazioni sono complesse da far capire. All’estero, e specialmente in Asia, “potrebbero fare breccia solo in fascia alta, non nel mass market”, secondo Daniele Cernilli, direttore di Doctor Wine. Difficile, comunque, tutelarle a livello internazionale, come ha ricordato Eugenio Pomarici, docente all’Università di Padova (e, fino a tre settimane fa, a capo della Commissione Diritto Economia dell’Office International de la Vigne e du Vin), soprattutto extra Ue, al punto che, ha aggiunto Vittori, l’Ue stessa ha avviato una politica di trattati bilaterali, come il Ttip con gli Usa, per esempio. Ma, in ogni caso e in ogni ambito, è impossibile proteggere le oltre 500 denominazioni del vino italiano. E forse anche inutile. “Dobbiamo partire dai dati - ha detto Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv) - 82 sole denominazioni rappresentano l’83% della produzione a Doc e Docg. C’è un affollamento. Si deve riordinare il sistema delle denominazioni, di quella infinità che non trovano il consenso e il pubblico. È necessaria una ripulitura dei registri. O lo faranno le denominazioni da sole, dal basso, o abbiamo previsto un principio che metterà la Pubblica Amministrazione nella posizione di poterlo fare dall’alto”. (www.winenews.it)

 


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