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I cambiamenti climatici mettono a rischio l’agricoltura mondiale: necessario un cambiamento di rotta

La COP 21 della UNFCCC che si sta svolgendo in questi giorni a Parigi ha un’enorme importanza per l’agricoltura. Non solo per le decisioni che potranno essere prese (che solo in minima parte, almeno in questa fase, potranno coinvolgere direttamente il settore primario), ma per l’impatto che già oggi il riscaldamento globale sta avendo sulle produzioni di cibo. Ad esempio, le rese di frumento, in costante aumento a livello mondiale per tutto il secolo scorso, sono invece attualmente in stagnazione o addirittura in calo, pur in presenza di avanzamenti nella tecnologia (genetica, pratiche colturali ecc.). Buona parte di questo rallentamento è dovuto al clima che è diventato più instabile (gelate tardive, ondate di calore, siccità) ed è caratterizzato da stagioni produttive più corte (con meno tempo, per le piante, per accumulare carboidrati). Il risultato a livello globale, per il solo frumento, sui redditi degli agricoltori e sulla sicurezza alimentare, è ovviamente devastante.

Il riscaldamento globale è imputato all’aumento delle concentrazioni di gas serra, e in particolare di anidride carbonica (CO2) in atmosfera. Si tratta anche della molecola alla base della fotosintesi, il processo chimico per cui, a partire proprio dalla CO2, le piante sono in grado di sintetizzare zuccheri semplici e poi via via più complessi. Paradossalmente, con il crescere della concentrazione si potrebbe addirittura avere un effetto fertilizzante. Al di là di questo aspetto positivo, tutti gli altri impatti sono negativi.
 
Rispetto agli altri settori economici cui è richiesto di ridurre le emissioni di gas serra, l’agricoltura ha alcune importanti peculiarità:
1)    oltre all’anidride carbonica, è responsabile anche dell’emissione di metano (dalle risaie, dai liquami zootecnici e dalle fermentazioni enteriche dei ruminanti) e protossido di azoto (dai fertilizzanti e dai liquami zootecnici). Si tratta di molecole che, seppure in concentrazioni ridotte, hanno un elevato potenziale di riscaldamento dell’atmosfera;
2)    è anche in grado di assorbire CO2 e di accumularla nel terreno, potendo così fornire un contributo reale alla riduzione della concentrazione di gas serra in atmosfera;
3)    dipende, più di ogni altra attività umana, dal clima. Dalle normali lavorazioni in campo alla fioritura delle piante da frutto, dall’irrigazione all’individuazione dell’epoca di raccolta, a fronte di un cambiamento del clima, tutto il sistema che noi conosciamo oggi viene in qualche modo messo in crisi e rivoluzionato.

Nel complesso, le emissioni di origine agricola si collocano intorno al 17% di quelle complessive, a cui è da aggiungere un’altra quota variabile fra il 7% e il 14% in funzione dei cambiamenti di uso del suolo. A livello nazionale le percentuali variano da paese a paese in base alla rilevanza dell’agricoltura rispetto agli altri settori economici e della importanza relativa di settori ad alta emissione (ad es. allevamenti zootecnici). Per l’Italia siamo circa al 7,5% delle emissioni totali nazionali, che per quasi la metà derivano dai suoli agricoli, mentre quote minori hanno la fermentazione enterica (31%), la gestione delle deiezioni (16%) e le risaie (4%).

Gli impatti del clima che cambia sono numerosi, diversificati e in gran parte ancora sconosciuti nella dimensione. Fra i più rilevanti che si potranno manifestare (e purtroppo stanno già avvenendo) abbiamo:
- aumento degli eventi estremi, quali gelate tardive, inverni particolarmente miti (che mettono a rischio la fioritura delle piante già frutto, come già avvenuto nel Lazio durante lo scorso inverno), precipitazioni intense (bombe d’acqua) che scaricano in poche ore l’acqua che normalmente si avrebbe in un intera stagione, ondate di calore (caratterizzate da settimane consecutive estremamente calde), che provocano importanti danni alle coltivazioni in pieno campo e anche gli allevamenti (con diminuzioni delle produzioni di latte);
- cambiamento della stagionalità produttiva, con anticipazione delle semine o dei raccolti, per evitare i picchi di caldo estivo;
- spostamento delle coltivazioni di altitudine o di latitudine;
- introduzione di nuove coltivazioni in aree in cui precedentemente erano assenti (ad esempio, per l’Italia, cambiamento delle zone tipiche di produzioni di agrumi e olive, o comparsa di specie tropicali nelle regioni meridionali);
- diminuzione delle rese ad ettaro;
- modifiche nella tipologia e nella dinamica di popolazione di insetti e funghi dannosi per le coltivazioni, nonché dei loro parassiti naturali;
- difficoltà di continuare a mantenere colture locali di alcune regioni italiane, con gravi danni a molti prodotti tipici tradizionali.
A tutti questi effetti, e a molti altri, gli agricoltori dovranno sapersi adattare, con modifiche nelle tecnologie, nel rispetto della sostenibilità, ma anche dell’esigenza di fare fronte alla domanda mondiale di cibo. Nasce così una nuova agricoltura, denominata climate-smart agriculture, in cui le priorità sono date all’adattamento e alla sicurezza alimentare, rispetto alla semplice e brutale diminuzione delle emissioni di gas serra.
Per questi motivi la COP 21 di Parigi è essenziale per l’agricoltura. Se paesi industrializzati e in via di sviluppo non sapranno mettersi d’accordo sul contenimento dell’innalzamento della temperatura, sarà messa a rischio la sicurezza alimentare di intere popolazioni, con ulteriori destabilizzazioni di vaste regioni del pianeta.  

(Guido Bonati (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria - www.agienergia.it)



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