FATTI E PERSONE
Sprechi, costi alti e cibi scadenti: nel mirino i pasti delle mense scolastiche

La prima indagine sui pasti a scuola realizzata dal consorzio più importante sul mercato: un business che fattura 1,25 miliardi ma che spreca 27 milioni. Le differenze di costo da Sud a Nord: un pasto può costare dai 3,8 ai 4,9 euro

Insalate, pesce, frittate: ecco quello che rimane nei piatti dei nostri figli a scuola. Nelle mense si spreca l’11% dei primi piatti, il 13% dei secondi, il 22% dei contorni, il 9% dei dessert, il 10% della frutta e il 10% del pane, come emerge da un’indagine presentata da Oricon, il consorzio che raccoglie le sei aziende che fanno il 54% del fatturato del settore. Eppure ci sono migliaia di genitori in tutta Italia che protestano da mesi per le quantità (ridotte) dei pasti scolastici. E’ un problema di qualità? Le commissioni mensa e le schiere di famiglie pronte a controllare tutto quello che finisce nei piatti dei ristoranti di scuole statali e comunali, hanno migliorato moltissimo la situazione, soprattutto in città come Milano, dove l’azienda incaricata dei pasti- Milano ristorazione - è una partecipata del Comune, col rischio che il controllore finiva per controllare il controllato. Ma i capitolati d’appalto sempre più stringenti, con il crollo del costo del pasto (sceso in un anno, dal 2014 al 2014, dello 0,4%) pesano sul risultato finale. E il piatto degli studenti piange.


Metà del costo finisce in manodopera

In un settore da 1,25 miliardi di euro, che eroga 298 milioni di pasti all’anno, anche pochi centesimi possono fare la differenza: il costo del pasto medio per uno studente italiano è di 4,6 euro, ma cambia molto se l’alunno si trova al Sud, dove un pranzo costa 3,9 euro, al Centro, dove arriva a 4,8, al Nord-est, dove scende a 4,4, al Nord-Ovest (4,6) o in Lombardi, dove un pasto caldo in mensa costa 4,5 euro. Si tratta di prezzi che non vengono pagati direttamente dalle famiglie, a cui va il contributo statale e comunale, ma che comunque incidono inevitabilmente sulle spese a carico delle famiglie. Sulle cui spalle ricadono soprattutto costi di manodopera, piuttosto che di materie prime di alta qualità: il costo del lavoro è il 44%, il costo dell’acquisto delle materie prime alimentari il 37%, mentre i costi riferibili ad acquisti non alimentari, trasporti e utility sono pari al 19%: significa che quasi la metà del costo non riguarda i prodotti, ma le persone che lavorano per le aziende. E infatti solo il 32,5% delle materie prime alimentari utilizzate è composto da prodotti certificati o provenienti da filiera controllata: se la percentuale- come tutte le famiglie auspicano- salisse, il costo lieviterebbe oltremodo. Rendendo un pasto a mensa poco competitivo, come già successo in passato in Lombardia e Veneto, dove le famiglie per protesta hanno scioperato per la «schiscetta libera» .


Più polpette di pesce, meno insalata

Qualità, quantità, caratteristiche dei cibi: sono diversi gli aspetti su cui incidere per evitare quegli sprechi alimentari che alla fine costano 27 milioni di euro, 0,18 centesimi a pasto, pari al 12,6% delle materie impiegate. «Ma anche un occhio al menù non guasta», suggerisce il presidente Oricon Carlo Scarsciotti, che presenterà l’indagine insieme al viceministro delle Politiche agricole Andrea Olivero per dare un impulso all’educazione alimentare degli studenti. Quindi, pesce sì, ma solo sotto forma di polpette, bastoncini o alla mugnaia, e ortaggi ben conditi con sale e olio: «Così i bambini mangiano tutto ma senza sprechi». «Se riuscissimo a eliminare gli sprechi dalle mense scolastiche- conclude Scarsciotti - i 18 centesimi delle materie prime alimentari che quotidianamente finiscono nel bidone della spazzatura potrebbero essere destinati alla preparazione di oltre 12 milioni di pasti per gli indigenti».

(www.corriere.it)


 



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