FATTI E PERSONE
La sfida ai cambiamenti del Pianeta parte dalla terra: nell'orto del futuro si coltiverà senza suolo

I ricercatori stanno perfezionando una tecnologia antichissima che consente di far crescere gli ortaggi senza doverli seminare nel terreno. Si chiamano "colture fuori suolo" e possono essere una buona risposta a molti problemi, dall'inquinamento all'esaurimento dei suoli

Gli ortaggi del futuro si coltiveranno senza terra. Una follia? No, una soluzione che i ricercatori stanno perfezionando per andare incontro al problema delle risorse che iniziano a scarseggiare. Si chiamano "colture fuori suolo" e sono coltivazioni che vengono fatte senza terra. È difficile da immaginare considerato che il suolo è il principio fondante dell'agricoltura. Potrebbe sembrare una creazione da laboratorio del tutto contro natura, invece è una tecnica antichissima che consente di avere migliori risultati con il maggior risparmio di risorse, il tutto nel totale rispetto dell'ambiente. "Nelle colture fuori suolo è l'uomo che si affianca alla natura non lasciando nulla al caso", spiega Accursio Venezia, ricercatore del Crea, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria di Pontecagnano.

Si tratta di un tipo di coltura in serra con cui si producono principalmente pomodori, cetrioli, peperoni, fragole, lattughe, ortaggi da foglia larga e fiori. Il Pianeta si appresta ad affrontare le grandi sfide del cambiamento climatico, dell'aumento della popolazione mondiale, dell'esaurimento dei terreni e del loro elevato inquinamento. A questo si aggiunge che la riflessione sull'utilizzo incalzante di diserbanti e fertilizzanti in agricoltura è all'ordine del giorno. Dunque urge trovare risposte a questi problemi: le colture fuori suolo potrebbero essere una buona idea.

Già gli antichi avevano iniziato a praticare tali colture per ovviare a problemi pratici come la concentrazione delle popolazioni nelle città e le difficoltà di trasporto e di conservazione del cibo. Ne sono un esempio i giardini pensili di Babilonia, o le colture su sabbia nell'antico Egitto, o quelle su zattere in Cina, o ancora le isole galleggianti degli Aztechi in Messico. Ma come è possibile coltivare senza terra? "Per vivere le piante necessitano di 17 elementi minerali essenziali tra cui carbonio, idrogeno e ossigeno che trovano nell'aria e nell'acqua: basta dargli luce e questi altri elementi nelle dosi di cui hanno bisogno e il gioco è fatto", spiega Accursio Venezia che da anni sta sperimentando le colture fuori suolo. "Per garantire la buona riuscita delle piantagioni, l'agricoltore deve prendere il controllo del clima e del suolo: il terreno è difficile da controllare, ma se si sostituisce con un substrato inerte o si mettono le radici a bagno nella soluzione di elementi nutritivi o questi si nebulizzano direttamente sulle radici, è molto più semplice controllare la produzione". In più, nei sistemi chiamati "a ciclo chiuso", l'acqua e le sostanze fertirriganti non vengono disperse perché riutilizzate: "Un bel vantaggio per l'ambiente", spiega Ernesto Ranucci, ingegnere di Elettra Sistemi che si occupa di impianti di questo tipo, "perché si risparmia oltre il 50% dell'acqua, si usa substrato ecocompatibile al 100% e non c'è l'aggiunta di fitofarmaci che possono essere dannosi anche per la salute". Gli olandesi hanno capito bene quanto coltivare in questo modo possa essere un buon metodo per non inquinare: si coltiva fuori suolo "a ciclo chiuso" in circa il 90% delle serre perché c'è una normativa locale che lo impone per tenere sotto controllo l'acqua e i suoi utilizzi.

Una pianta che cresce fuori suolo è estremamente controllata: il produttore conosce nel dettaglio di cosa si è nutrita e può fornire garanzie esatte sulla sua salubrità. Garanzie che per le colture nel suolo è difficile dare con certezza: basti pensare alla tragedia della Terra dei Fuochi in Campania che ha gettato discredito su tutta la produzione agricola locale. Alcuni terreni, anche se pochi, furono dichiarati non coltivabili creando disagi per la produzione su cui si basa l'economia di vaste zone. Forse le colture fuori suolo potrebbero essere una buona soluzione nei terreni resi insalubri dagli sversamenti.

Oltre che per i terreni inquinati sono una buona cosa anche per quelli esausti. Secondo la Fao un quarto dei terreni mondiali è a rischio di perdita di biodiversità e fortemente degradato. In questo senso le colture fuori suolo hanno un altro vantaggio: non creano e non soffrono la stanchezza del terreno. "Per esempio se io produco pomodori in serra nel modo tradizionale", dice Lorenzo Bazzana, responsabile del settore tecnico ed economico di Coldiretti, "prima o poi il terreno sarà esausto. Non potendo più usare bromuro di metile (fumigante per la sterilizzazione dei terreni messo al bando nel 2010, ndr), avrò problemi di stanchezza del terreno e, non avendo molecole alternative sufficientemente efficaci, andrò sicuramente incontro a problemi di tipo fitopatologici. Prima o poi dovrei spostare le serre".

"La lunghezza media del ciclo di colture fuori suolo è molto più breve rispetto a quelle tradizionali e la consistenza del prodotto è migliore perché la pianta viene nutrita in modo corretto ed equilibrato", dice Francesco Punzi, imprenditore agricolo che da poco sta sperimentando le colture fuori suolo nella sua azienda nella Piana del Sele in provincia di Salerno. È orgoglioso che nelle sue serre si usino nuove tecnologie a sostegno dell'agricoltura. La sua famiglia coltiva ortaggi da tre generazioni in modo tradizionale ma è convinto che valga la pena sperimentare soprattutto per migliorare e ottimizzare le produzioni standard, quelle nel suolo, che comunque sono destinate a perdurare. "Quello che frena gli agricoltori nell'approccio alle colture fuori suolo sono i costi e la tecnica", spiega Punzi. Ma secondo Alberto Pardossi, professore del dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Pisa, il rapporto costi benefici è positivo, consentendo un guadagno di circa il 15-20% in più rispetto anche alle colture a terra. "Occorrono però", dice il professore, "maggiori investimenti iniziali che non riguardano solo la tecnica ma anche la struttura della serra che deve essere adeguata".

Secondo un'indagine dell'Università di Pisa c'è molta disinformazione sull'argomento e non c'è personale tecnico adeguatamente preparato. Eppure negli ultimi 20 anni l'attività di ricerca sul fuori suolo è stata molto intensa in Italia: i nostri ricercatori hanno pubblicato un numero di articoli sull'argomento quattro volte superiore a quelli dei colleghi olandesi, superati solo da americani e giapponesi. Ma tutto questo studio non corrisponde alla pratica: in Italia si coltiva fuori suolo in meno del 10% dell'intera superficie protetta.

Secondo Accursio Venezia un altro ostacolo alla diffusione è di tipo culturale: "Si pensa che si tratti di coltivazioni artificiali e che quindi i prodotti siano meno buoni di quelli ottenuti sul suolo". Ma non è così: Venezia spiega che quando negli anni 90 si è iniziata la sperimentazione in Italia, sono stati fatti numerosi studi che testimoniano che non ci sono diversità organolettiche perché è solo un altro modo di fare agricoltura. "I paesi del Nord Europa", spiega Alberto Pardossi, "stanno spingendo affinché anche la produzione fuori suolo possa essere certificata con il riconoscimento del marchio biologico, come avviene negli Stati Uniti".

È vero che non si può coltivare ancora tutto fuori suolo, e per questo motivo alcuni prodotti continueranno a crescere nella terra, ma per molti scienziati questo rappresenta il futuro dell'agricoltura. Non a caso viene sperimentata anche nello spazio in attesa che l'uomo inizi a coltivare anche su altri Pianeti. (Rossella Grasso - www.repubblica.it)




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