LA VITA DELLA VITE

A cura di Marco Tonni [tonni@asa-press.com]


Misurare & dimostrare
Dal fascino delle favole alla misura della sostenibilità (2a parte)


Come dicevamo nella premessa della prima parte di questo articolo, troppo spesso ci troviamo di fronte ad abili strategie di comunicazione che, facendo leva su argomenti affascinanti ma poco conosciuti, trasmettono informazioni artefatte e fuorvianti, senza basi scientifiche ma molto credibili per la qualità con cui vengono esposte.
Abbiamo detto della sostenibilità, argomento di interesse generale e non prettamente tecnico e settoriale, che tuttavia spesso viene purtroppo affrontato con un approccio generalista e banalizzante.
Altra cosa è quando si parla di argomenti tecnici più specifici: il pubblico non del settore fatica a comprendere a fondo le nozioni di base e ciò talvolta dà adito a manipolazioni delle informazioni, che quando vengono trasmesse in modo parziale (ossia incompleto e fazioso), se non false sono quantomeno fuorvianti.
Vediamo in questa seconda parte un paio di esempi, sperando che siano sufficientemente esplicativi.

2. La gestione del suolo e della pianta
1.Nutrire e proteggere il suolo

Come abbiamo accennato parlando del calcolatore di emissioni Ita.Ca®, la riserva di carbonio nel suolo è sotto forma di sostanza organica, fondamentale per la vita del suolo e per il benessere delle radici e quindi della pianta. Quando la sostanza organica del suolo viene decomposta dai microrganismi terricoli, secondo un processo del tutto naturale e comune, si libera CO2, che entra così in un ciclo del Carbonio molto ampio, che vede la CO2 atmosferica in equilibrio e interscambio continui con acque, rocce, piante e residui organici nel terreno, come è anche descritto al grande pubblico nella ben più ampia teoria di Gaia (di James Lovelock, e riportata in “Terra Vivente” di Stephan Harding).
Ebbene, convenzionalmente noi possiamo considerare di “catturare” CO2 nel suolo solo quando questa CO2 viene trattenuta nel suolo per oltre 100 anni: un tempo geologicamente irrilevante per la sua brevità, ma adatto ai nostri ragionamenti, alle nostre limitate capacità di misurazione e alla nostra breve vita.
La moderna agricoltura (più o meno a partire dall’uso intensivo delle macchine, quindi da inizio ‘900) ha progressivamente ed inesorabilmente impoverito i suoli agrari di sostanza organica, poiché ha accelerato i naturali processi di degradazione chimico fisica e biologica della componente organica del suolo, determinando così una liberazione nell’atmosfera di enormi quantità di CO2. Ora sta a noi ripercorrere strade adatte a immagazzinare nuovamente sostanza organica nel suolo (gestione rispettosa del terreno diminuendo le lavorazioni e/o incorporando nel suolo materiali organici naturali, maggiore utilizzo di fertilizzanti a base organica anziché concimi chimici, ecc). Ovviamente non approfondiamo qui questa tematica, troppo tecnica, ma il concetto spero che sia chiaro.
Ebbene, in tutto questo ambito, i dati relativi alla capacità del suolo agrario o dei boschi di immagazzinare Carbonio organico sono molto risicati, limitati, talvolta incerti e comunque ancora da interpretare e comprendere, certamente non estendibili con facilità a realtà agroclimatiche diverse dalle poche ove oggi sono studiati ed ottenuti.
Se si opera con onestà intellettuale.
Se invece si vuole piegare il dato della ricerca a scopi utilitaristici, possiamo ad esempio estendere quanto ottenuto in uno studio effettuato in Germania per convalidare un calcolo in Sicilia o in Puglia. Potete intuire che la cosa non sia realistica (piovosità, temperature, sviluppi delle radici, ecc.), ma se chi espone il dato si “scorda” di riportare questi “dettagli” si può essere indotti a credergli.
Quindi, sarà lungo il lavoro di chi vorrà accertarsi che le informazioni divulgate siano oggettive! Non basta dire che si piantano boschi per garantire con certezza che si è a emissioni zero, perché sono pochi perfino i dati sulla CO2 catturata dai boschi! Si può scoprire che un bosco libera più CO2 di quanta ne catturi durante i sui primi anni di vita…
Ed allora, attenzione anche a chi dichiara la propria Azienda (o il suo Comune, o il suo concerto Rock) come a “bilancio zero” solo perché ha “acquistato” presunte “quote verdi” provenienti da boschi o da altre fonti, perché prima di tutto si dovrebbe realizzare il bilancio delle emissioni (altrimenti su cosa si basa il “bilancio zero”) e in secondo luogo eventuali compensazioni esterne dovrebbero derivare appunto da “quote verdi” per le quali ad esempio ad oggi non esiste in Italia un registro ufficiale nazionale.
Lo strumento di chi, da fuori, desidera valutare la serietà dei dati riportati, potrà solo essere quello di chiedere chi ha fornito i dati (Università, Istituto di ricerca, ecc.) e secondo quale protocollo ufficiale sono stati elaborati (es. Ita.Ca®, che si basa sullo standard internazionale IWCC).
Le invenzioni e gli adattamenti, le ispirazioni personali e il romanticismo naturalista fine a sé stesso non possono fare al caso nostro né di nessuno che abbia a cuore il rispetto dei fatti, anzi sono addirittura pericolosi e dannosi perché determinano credenze e scelte sbagliate.

b.Gestire la pianta
Allo stesso modo se si afferma di proteggere la pianta con metodi rispettosi dell’ambiente, si deve essere in grado di basare le proprie azioni su dati concreti, scientifici, misurabili. Non su affascinanti teorie o su artificiose affabulazioni.
Come già accennato in altri nostri interventi su www.asa-press.com, si deve rispettare il terreno, la pianta e tutto l’agroecosistema che li accoglie (acque, organismi viventi), oltre che il paesaggio.
E rispettare non significa necessariamente “fare ciò che facevano i nostri antenati”, perché fino a che non c’era il petrolio era “facile” non inquinare (ma ricordiamoci che la grande maggioranza dei nostri boschi europei sono progressivamente scomparsi a causa dell’intervento dell’uomo a partire dal medioevo e fino alla fine del 1800), ma non avevamo nemmeno lo stile di vita attuale al quale nessuno di noi ormai rinuncerebbe.
Questo non significa che perciò siamo autorizzati a inquinare, anzi di sostenibilità abbiamo detto nella prima parte di questo testo, bensì che dobbiamo imparare a utilizzare gli strumenti a nostra disposizione in modo che siano utili senza provocare danni. O meglio, che siano il più utili possibile provocando meno danni possibile, in particolare non danni permanenti.
Allora, lavoriamo il suolo pensando prima alla sua integrità e non prima al rigoglio della pianta, inoltre pensiamo alla pianta come ospite del suolo e scopriremo che adeguando le tecniche agronomiche potremo accrescere il livello di Sostanza Organica anziché farlo diminuire, a tutto beneficio della salute delle radici, della loro efficienza, del sequestro di CO2. I dati scientifici di ciò esistono, ed inoltre chi si impegna in questo senso farebbe bene a costruirsi un proprio inventario di dati delle analisi del suolo aziendali, in modo da scoprire se nei decenni va migliorando o peggiorando i propri terreni.
Per quanto riguarda la gestione diretta della pianta, valgono gli stessi principi: cerchiamo di aiutare la pianta a assecondare le nostre esigenze. Essa non crescerebbe mai appesa a fili a pali, così come non farebbe mai uva per produrre vino, giusto?
Noi non la dobbiamo costringere, ma “educare”, non forzare, ma “aiutare”, non vincolare, ma “indurre”. Ovviamente in questo percorso la pianta deve accettare ad esempio di essere innestata (per proteggerla dal flagello della Fillossera), piantata dove desideriamo noi, potata (non per il suo bene, ma per il nostro), protetta dalle avversità (e per il nostro bene dobbiamo scegliere fitofarmaci a basso impatto ecotossicologico).
Asserire che potature energiche disturbano la pianta è vero e dimostrato (se voi foste una pianta, non vi piacerebbe subire l’amputazione di un ramo). Potature drastiche determinano una reazione della pianta che corre ai ripari per produrre adeguate “cicatrici” di protezione.
Tuttavia, è anche vero che se desideriamo che la pianta cresca ordinata fra tante sorelle e rimanga entro lo spazio assegnatole, producendo i grappoli nel punto secondo noi più adatto alla loro presenza (ossia laddove possono maturare meglio ed essere meglio difesi dalle avversità o meno suscettibili ai patogeni), dobbiamo agire per contenerla entro tali limiti. E questo significa potarla secondo regole ben precise.
Da qui a dire che le potature adottate negli ultimi decenni determinino insorgenza di malattie del legno perché richiedono talvolta tagli drastici, significa forzare considerazioni non supportate da dati scientifici.
Infatti, se la potatura viene eseguita correttamente e adottando quelle misure profilattiche indispensabili e da sempre suggerite da chi pensa alla pianta prima che alla mera riduzione dei tempi di lavoro e dei costi di produzione, allora sì che il rischio di diffusione delle malattie del legno si riduce drasticamente e nel contempo si ottengono piante ordinate, regolari e longeve.
Potare correttamente è il fondamento per produrre bene e per permettere alla pianta di invecchiare con noi. Abbiamo già detto parecchio tempo fa che piante vecchie fanno i vini migliori, se sane e ben gestite.
Così come dobbiamo saper convivere con il petrolio (almeno finché finalmente non troveremo una alternativa) minimizzandone rischi e danni, allo stesso modo dobbiamo saper convivere con metodi di potatura adeguati a standard produttivi elevati e a gestioni aziendali professionali. Infatti il nonnino con il cavallo non inquina, ma è fuori da mondo, e lo stesso nonnino che pota senza seghetto (quindi facendo solo tagli piccoli) probabilmente garantisce una buona longevità alla pianta, ma gestisce nel suo orticello viti dalle forme artistiche ma non razionali. E se la volta che fa un grosso taglio (prima o poi capita…) non lo protegge adeguatamente, fa più danno di chi i grossi tagli li fa ogni lustro ma li protegge sempre in modo corretto.

Speriamo che il testo sia stato sufficientemente chiaro, e scusate se ci siamo dilungati più del solito.



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