SALUTE E BENESSERE

Mais ogm, dimostrata per la prima volta la tossicità
Lo anticipa Le Monde: il mais testato è della Monsanto. Esperimento durato due anni. Nei maschi più frequenti problemi epatici e renali. Nelle donne i tumori mammari.

Uno studio condotto da un biologo francese dimostrerebbe, per la prima volta, una corrispondenza - nei ratti - tra consumo di mais ogm e malattie come il tumore mammario nelle femmine, problemi epatici e renali per i maschi e - in entrambi i sessi - aspettativa di vita ridotta.
Ne dà notizia il quotidiano francese Le Monde, specificando che lo studio è stato sottoposto al giornale senza dare la possibilità, per questioni di tempo, di sottoporre le conclusioni al giudizio di altri esperti del settore. Tuttavia lo studio - firmato dal biologo Gilles-Eric Séralini - verrà pubblicato nel prossimo numero della rivista Food and Chenmical Toxilogy, dove è stato accettato in seguito a una peer reviw, ovvero la procedura di standard internazionale che consiste nel sottoporre uno studio e i suoi risultati a una comunità di esperti prima della pubblicazione su una rivista. Si tratta, insomma, di un progetto scientifico non "arrangiato", come dimostrano anche i numeri - più di 200 i ratti sottoposti agli esperimenti per circa due anni - e al costo dell'operazione - circa 3 milioni di euro - sostenuta grazie al finanziamento di una fondazione, del ministero della ricerca scientifica francese ma anche di una associazione che si batte contro gli ogm (Criigen).
I biologi hanno selezionato 9 gruppi di 20 ratti. Il mais testato è il NK603 della Monsanto. L'esperimento è consistito nel nutrire un gruppo di ratti - composto da 20 esemplari - con il mais ogm. Il secondo gruppo - composto dallo stesso numero di esemplari - con il mais ogm associato al Round-Up che è un erbicida tollerato dal mais geneticamente modificato. A un terzo gruppo è stato somministrato solo il Round-Up. Il protocollo prevedeva inoltre il controllo della quantità delle sostanze ingerite: per cui i gruppi di ratti erano in tutto nove. Ai primi tre sono state somministrate le sostanze all'11%, Alla seconda "classe" di tre gruppi è stato somministrato il 22%. E alla terza "classe" il 33%.
Per vedere i primi effetti è stato necessario aspettare un anno. Nei maschi le necrosi del fegato sono state da 2,5 a 5,5 volte più frequenti rispetto al gruppo testimone. Sempre nei maschi, sono stati inoltre riscontrati problemi renali da 1,3 a 2,3 volte più frequenti. In tutti i gruppi studiati sono inoltre stati riscontrati tumori mammari a una frequenza maggiore, anche se non significativa dal punto di vista statistico.
Anche la mortalità è cresciuta in tutti i gruppi trattati. Se nel campione testimone la vita media dei maschi è stata di 624 giorni e 701 giorni nelle femmine, "Calcolato il periodo medio di sopravvivenza - scrivono gli autori - le cause della morte sono state ricondotte generalmente all'invecchiamento. Prima di questo periodo, nel gruppo-testimone sono morti spontaneamente il 20% dei maschi e il 30% delle femmine. Nei gruppi trattati con gli ogm questa percentuale è cresciuta rispettivamente al 50% e al 70%.
Gli scienziati osservano nel loro studio che gli effetti non cambiano significativamente in relazione alle dosi somministrate. Confermando quanto già studiato in ambito medico: e cioè che basta una esposizione anche non massiccia a un elemento negativo per il sistema ormonale per avere conseguenze sulla salute.
Secondo gli autori, dunque, ilRound-Up potrebbe comportarsi come un "disturbatore" del sistema endocrino. Questo però non spiega gli effetti riscontrati sui gruppi di ratti nutriti soltanto con il mais Ogm (senza erbicida). Secondo gli autori la costruzione del mais ogm comporta la modificazione di un enzima (si chiama ESPS sintasi) coinvolti nella sintesi degli amminoacidi aromatici che hanno un ruolo nella protezione della genesi del cancro. Il fatto che la produzione di questi amminoacidi sia ridotta potrebbe spiegare, secondo gli autori, le patologie osservate in modo più frequente nei ratti esposti al solo Ogm. (www.globalist.it)



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