SALUTE E BENESSERE

Gli esperti italiani di nutrizione e salute commentano la decisione della Danimarca di abolire la “Fat Tax”

MARCELLO TICCA, VICEPRESIDENTE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZA DELL’ALIMENTAZIONE SISA
L’idea di riuscire a combattere la cattiva alimentazione e l’obesità tassando alcuni cibi e/o bevande è priva di senso, dato che, come si sa, i problemi di salute delle nostre popolazioni supersedentarie dipendono dalla qualità e dalla quantità del complesso della dieta abitualmente consumata. Insomma, non esistono cibi buoni e cibi cattivi, e qualunque alimento può diventare junk-food se consumato in eccesso.
Tassare è inutile, come l’esperienza danese insegna. E questo è ancora più attuale in un momento storico nel quale, in Italia, è in moto una forma di utilissima collaborazione che ha fatto sì che le Associazioni che rappresentano le più importanti Aziende produttrici di alimenti e bevande abbiano concordato con il Ministero della Salute un documento che le impegna ad apportare, nel giro di pochissimi anni, una serie di ulteriori miglioramenti a prodotti e confezioni.
Ciò che occorre fare, piuttosto, è prevenire. E questo va fatto affrontando il problema alla radice, ossia favorendo consumi più equilibrati e più approvabili attraverso un miglioramento della informazione istituzionale rivolta ai consumatori ed attraverso la promozione della educazione alimentare nelle scuole e sui mass media, ad esempio diffondendo su larga scala documenti scientificamente validi e didatticamente comprensibilissimi quali le Linee Guida alimentari prodotte dall’INRAN. In sintesi, più conoscenza e cultura e meno inutili deterrenti fiscali!

MARIA PAOLA GRAZIANI, RICERCATRICE IN PSICOLOGIA DEI CONSUMI DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
Il passo indietro della Danimarca sulla tassazione di grassi e zuccheri è emblematico: le tasse non servono a migliorare i comportamenti nutrizionali dei cittadini, in quanto non agiscono sulle motivazioni e le consapevolezze all'origine di molti consumi.
Questi ultimi seguono molte variabili: abitudine, tradizione, gusto, accesso facile all’alimento, prezzo, stato d’animo ecc. Per questo motivo, la demonizzazione o proibizione genericamente proposta “a pioggia”, verso singoli comportamenti, spesso ottiene l'effetto opposto o nessun effetto.
Va perseguito invece un percorso didattico–educativo verso stili di vita sani e corretti che, pur lungo e difficile, può dare “buoni frutti” soprattutto se svolto nel sociale fra le famiglie e le comunità e nelle scuole primarie e secondarie. L'esempio della Danimarca dimostra che è inutile cercare delle scorciatoie. Bisogna concentrarsi e investire in formazione per diffondere sia gli elementi fondamentali della educazione alimentare che la promozione all’attività fisica e, ultima non ultima, la consapevolezza al consumo e l’attenzione alle proposte della pubblicità commerciale, sottolineando il ruolo “giocato” dalle proprie emozioni e motivazioni.


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Michela Quattrocchi
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