FATTI E PERSONE

Anche in Italia rincari a tavola, così le famiglie cambiano menù
Meno bistecche e pesce, più pollo e surgelati. Nel 2010 c'è stata una contrazione sia nella spesa che nella quantità di cibo acquistato. A marzo l'inflazione è salita del 2,5%. Un'accelerazione legata a petrolio e alimentari.

Signore e signori, la crisi è servita. L'onda lunga della recessione globale è arrivata fin sulle tavole degli italiani, cambiando le abitudini della famiglie. I prezzi dei prodotti alimentari salgono, sia alla produzione che al consumo. E così si compra meno, ma soprattutto cambia il menù: meno frutta e verdura, alle bistecche sono preferite le salsicce, niente vino. La tendenza è partita a inizio 2010 e i primi tre mesi di quest'anno non hanno cambiato le cose.
Un anno di quaresima, dunque. Certo una situazione diversa da quella dei Paesi in via di sviluppo dove metà dello stipendio se ne va per sfamarsi, come ha sottolineato il governatore Draghi nel suo allarme di ieri. Ma è un fenomeno che ha le stesse cause. I prezzi alle stelle delle materie prime penalizzano l'intera filiera. Poi c'è la recessione con il suo impatto sui redditi e infine l'inflazione che è tornata a rialzare la testa. Partiamo da qui. L'inflazione a marzo, secondo i dati Istat è salita dello 0,4% rispetto a febbraio e del 2,5% rispetto a un anno prima. "L'accelerazione risente in primo luogo delle tensioni sui prezzi dei beni alimentari e dei beni energetici", sottolinea l'Istituto di statistica. I prezzi degli alimentari (incluso gli alcolici) sono aumentati dello 0,3% rispetto a febbraio e del 2,2% rispetto a marzo 2010, un aumento annuale in crescita rispetto al +2% registrato a febbraio. I prodotti lavorati (come gli insaccati o i formaggi) sono aumentati in un anno dell'1,5%. Quelli non lavorati (frutta, verdura, carne e pesce freschi) addirittura del 3,6%. Tra gli alimentari lavorati sono aumentati soprattutto formaggi e latticini (+4,1% in un anno), tra quelli non lavorati spicca l'impennata della frutta fresca (+5,3%).
Ma non è un trend partito a marzo. Lo dimostra uno studio Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) secondo il quale il 2010 si è chiuso con una riduzione degli acquisti "domestici" di prodotti agroalimentari dell'1,6% rispetto al 2009. Un calo della spesa per alimentari che si è tradotto anche in un calo della quantità di cibo acquistato (-0,6%). La cura dimagrante della busta della spesa ha toccato tutti i comparti ad eccezione di olio d'oliva (+3,7%) e di carni suine e salumi (+0,6%). Il calo invece ha toccato soprattutto vini e spumanti (-3,4%), carni bovine (-4,6%), pesce (-2,9%), frutta (-1,8%).
Non ci sono dubbi sulla causa di questi andamenti. Colpa dei prezzi, secondo l'Ismea, che sono aumentati per esempio per la frutta del 3,2%, per il pesce del 2% e sono scesi invece per la carne di maiale (-0,1%). Altri esempi: è sceso il prezzo del pollo (-5%) e quindi se ne compra di più (+2,7%), al Parmigiano reggiano viene preferito il più economico Grana. Il prezzo degli ortaggi freschi è salito (+3,4%) e allora meglio comprare quelli surgelati che invece hanno fatto risparmiare il 4,5% rispetto all'anno precedente.
Ma cos'è che fa aumentare tanto i prezzi degli alimentari? È il costo delle "materie prime". Se i cereali salgono alle stelle, sotto la spinta della domanda di paesi in pieno boom come Cina e India, aumentano anche i mangimi per gli allevamenti italiani (+19%). E poi conta anche il caro-benzina: ogni pasto, secondo un'indagine della Coldiretti, percorre in media duemila chilometri prima di arrivare in tavola. 

di Francesco Mimmo – www.repubblica.it


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