AZIENDE E PRODOTTI

93 tipologie di fagioli per combattere il freddo

Se per combattere il freddo medici ed esperti consigliano una dieta a base di frutta e verdura di stagione (occorre diffidare, naturalmente, di chi consiglia l’acquisto a febbraio di fagiolini, zucchine e cicoria), una zuppa calda, magari con tanti legumi, potrebbe essere un perfetto toccasana per affrontare le basse temperature.
Se lo sciopero dei trasporti prima e il gelo dopo hanno causato non pochi disagi per l’approvvigionamento delle materie prime, reperire legumi risulterà senza dubbio più semplice, tranne per quelli a rischio di estinzione o di scarsa diffusione. Se pensiamo ai fagioli, per esempio, solo in Italia ne sono presenti 93 tipologie differenti, escludendo Dop e Igp. Così risulta, infatti, dall’ultima revisione dell’elenco (datata 2011) dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani, predisposto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con la collaborazione delle Regioni.
Questo elenco, diviso per categorie (prodotti lattiero – caseari, prodotti a base di carne, prodotti ortofrutticoli e cereali, prodotti da forno e dolciari, bevande alcoliche, distillati) e comune a livello nazionale, nasce per coadiuvare l’agricoltura italiana che, nello scenario della politica agricola dell’Unione Europea, parte da condizioni nettamente svantaggiate. L’agricoltura moderna, infatti, è fortemente indirizzata alla meccanizzazione e richiede estensioni di terreni pianeggianti che in Italia, causa la sua naturale configurazione orografica, scarseggiano.
Per reagire a questo stato di cose il Ministero delle Politiche agricole ha deciso di puntare sui prodotti di nicchia, valorizzando quelli agricoli o di allevamento cosiddetti “tradizionali” perché lavorati secondo antiche ricette. Il requisito per essere riconosciuti come Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) è, infatti, quello di “essere ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni”. Il compito di stabilire quali, tra i tanti, possano essere riconosciuti come tali è affidato alle Regioni mentre il Ministero garantisce un ruolo di controllo registrando tutto nell’elenco ufficiale.
Tra questi prodotti non rientrano quelli Dop e Igp e molti di loro stanno scomparendo. Tra tutte le regioni la Toscana è quella che ne detiene il maggior numero, sono più di quattrocento i suoi PAT e ritornando ai fagioli, infatti, solo in questa regione ne vengono coltivati 35 ecotipi, tra questi il fagiolo zolfino. Questa varietà autoctona del Pratomagno nel Casentino in provincia di Arezzo si riconosce per la quasi totale assenza di buccia, per il suo colore, giallo pallido simile allo zolfo, e per la pezzatura molto piccola. Il suo sapore è molto intenso ed è altamente digeribile. Nonostante gli innumerevoli tentativi di imitazione, di zolfino se ne producono annualmente circa 500 quintali: è possibile reperirlo in tutto il Pratomagno e nel Valdarno, nei mercatini locali o nelle 80 aziende che lo producono e che fanno vendita diretta. Diversa la sorte toccata al mascherino della Garfagnana (in provincia di Lucca), un tempo gloria del luogo, la cui produzione oggi, fortemente a rischio, si limita ai 4-5 quintali prodotti negli orti familiari. Questo fagiolo è molto delicato, ha una buccia fine e una pasta leggermente farinosa, un colore molto caratteristico per metà bianco e per metà rosso vinaccia scuro e viene utilizzato nei passati o nelle minestre di farro, ma la sua peculiarità è il sapore del brodo di cottura, aromatico e molto intenso, simile al brodo di carne.
Un fagiolo presente in Liguria, solo nel territorio di Pignone in provincia di La Spezia, è il fagiolo dell’aquila, più conosciuto come fagiolo dell’occhio, arlecchino, in parte bianco e in parte marezzato e dalla tipica macchietta di colore grigio cenere con striature scure. Questo fagiolo è considerato un ecotipo autoctono perché già noto ai Romani e quindi non importato dalle Americhe. Ha un sapore molto delicato, si può consumare sia verde che secco ed è di veloce cottura, addirittura non necessita di essere messo a bagno prima della cottura, basta semplicemente sciacquarlo.
Un altro fagiolo di grande digeribilità è il bianco di Controne, oggi anche Presidio Slow Food, coltivato nel territorio di Controne in provincia di Salerno, sui Monti Alburni. Detto anche “a pisello” per la sua forma tonda, appena ovale, ha la particolarità di avere il seme ed il baccello di colore completamente bianco, marmoreo; non ha bisogno di un lungo ammollo e non si spacca durante la cottura che avviene solitamente in tempi più brevi rispetto ai fagioli comuni. Un altro presidio Slow Food è il fagiolo Badda di Polizzi, proveniente dal Parco Naturale delle Madonie, nel palermitano. Piccolo e tondeggiante, questo fagiolo è chiamato appunto “badda”, palla. E’ bicolore, può essere avorio con macchie rosa e arancio oppure avorio con macchie viola scuro, tendente al nero. Il sapore è particolarmente sapido, leggermente astringente con sentori di castagna e mandorla e diventa molto cremoso in cottura anche se non si sfalda. E’ adatto sia al consumo fresco che secco ed è particolarmente versatile: tra i piatti tradizionali lo troviamo, verde, con le tagliatelle fatte in casa e pomodori freschi oppure in zuppa con il finocchietto selvatico e le cotenne di maiale o ancora con ventresca, baccalà e verdure.
Tra le tante altre tipologie di fagiolo troviamo il friulano fagiolo cesarins; il fagiolo di Sutri nel Viterbese, anch’esso fra le coltivazioni a rischio; il fagiolo di Saluggia, in Piemonte; il fagiolo solferino o gialet nel Bellunese e la lista è ancora lunga. Se si pensa poi a tutti gli altri prodotti presenti nell’elenco, soprattutto ai tanti che stanno scomparendo, si dovrebbe riflettere sull’importanza di preservare quello che invece è per noi un patrimonio, una valida alternativa ad un sistema di produzione massificato e petroldipendente. (Adele Chiagano – www.ilfattoquotidiano.it)


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