LA VITA DELLA VITE

Loazzolo: una delle più piccole DOC italiane

Nel girare l’Italia da nord a sud, da est a ovest, abbiamo trovato molte curiosità, molte volte ci domandiamo qual’è la doc più estesa, qual’è la doc che produce più vino, etc; ma alla domanda quale è la doc più piccola dell’intera nazione abbiamo voluto darci una risposta: Il Loazzolo doc. Loazzolo è un piccolo comune piemontese incuneato nella bassa langa astigiana, tra il cuneese e l'alessandrino. Questo, piccolo comune di 350 abitanti, il cui nome deriva dal basso latino Lupatiolum (luogo ove scorrazzano i lupi) appartenne sin dal XII secolo ai marchesi del Monferrato, che lo cedettero al comune di Asti nel 1200. Dal 1935 fa parte della provincia di Asti. Qui le condizioni pedoclimatiche sono ideali alla coltivazione della vite. Loazzolo, fiero dei suoi residenti, ha quattro cittadini insigniti della cittadinanza onoraria proprio grazie a questo prodotto della terra, si tratta dei quattro Padri del Loazzolo, nomi di spicco del panorama enogastronomico italiano: Luigi Veronelli, Carlo Petrini, Vittorio Gancia, e Giacomo Bologna, i veri fautori di questa doc. Loazzolo, la DOC più piccola d'Italia è stata riconosciuta nel 1992, un vino dolce rarissimo, vinificato e imbottigliato esclusivamente da uve Moscato (tradizionalmente impiegate per la produzione dell'Asti), uve appassite ed eventualmente attaccate dalla muffa nobile, coltivate nel solo comune di Loazzolo caso unico in italia. Conta 8 produttori per circa 5 ettari complessivi!. Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino "Loazzolo" devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve ed al vino derivato le specifiche caratteristiche qualitative. Sono considerati idonei unicamente i vigneti ubicati su pendii e dossi collinari soleggiati su terreno a struttura calcarea marnosa. La giacitura dei terreni vitati, per favorire l'insolazione, deve essere collinare con pendenza minima del 20% con esclusione dei vigneti di basso o di fondo valle, ombreggiati, pianeggianti o umidi. Tenuto conto delle elevate esigenze termiche del vitigno Moscato bianco destinato alla produzione del vino "Loazzolo", sono da considerarsi idonei esclusivamente i vigneti in esposizione solari collocati sui versanti collinari da est a ovest. I sesti di impianto devono assicurare nella parte coltivata minimo 4.000 viti per ettaro: le forme di allevamento ed i sistemi di potatura debbono essere quelli generalmente usati (potatura corta Guyot, cordone a sperone). L'uva prodotta deve essere vendemmiata tardivamente per ottenere una grande gradazione zuccherina (14-15° alla vendemmia) e lasciata appassire per alcuni mesi, su graticci di canne in un apposito locale denominato fruttaio; attaccata dalla muffa nobile, viene successivamente selezionata a mano. Il mosto viene vinificato all'inizio dell'inverno, fatto fermentare lentamente e affinato per 2 anni a partire dal 1 gennaio successivo a quello della vendemmia, di cui almeno 6 mesi in barriques di rovere, dopodichè viene imbottigliato. Si ottiene un vino concentrato, intenso, molto carico. Attualmente la produzione totale è di circa 50.000 bottiglie l’anno divisa tra gli otto produttori. A tutela di questi produttori esiste il "Consorzio per la tutela e valorizzazione dei vini a denominazione di origine controllata Barbera d'Asti, Barbera del Monferrato, Dolcetto d'Asti, Freisa d'Asti, Cortese Alto Monferrato e Monferrato" con sede ad Asti. Abbiamo degustato una bottiglia di Loazzolo dell’Azienda Forteto della Luja, vendemmia tardiva 2004: Piasa Rischei. 11,5°. La nostra scelta è stata diretta verso l’azienda più storica, più importante e più premiata nei concorsi del settore vitivinicolo. L’enologo e proprietario dell’azienda è Giancarlo Scaglione il vero fondatore di questa Doc. Praticamente questo vino nasce negli anni ‘80 da una sua vecchia vigna collocata a più di 500 metri di altezza e con pendii talmente ripidi che la vendemmia avveniva con slitte legate a delle corde, ecco spiegata la bassissima resa produttiva. Scaglione prese spunto dal nonno e più in generale dalla tradizione di porre alcuni prodotti della campagna per conservarli e gustarli anche fuori stagione. I fichi secchi, i pomodori essiccati, le tume asciugate sulla paglia e anche il Moscato vendemmiato molto maturo e torchiato con maestria dal nonno affinchè se ne ottenesse alcune bottiglie di un vino veramente eccezionale da bere per Pasqua. Partendo da questi ricordi dell’infanzia Scaglione decise la produzione introducendo per questo vino tecniche francesi affinchè le uve fossero attaccate dalla muffa nobile botrytis cinerea, mentre per l’appassimento mantenne le tecniche della tradizione locale, infine per affinamento attinse ancora dai francesi con l’uso delle barriques. Nel bicchiere si presenta limpido, trasparente con riflessi accesi senza cedimenti, di color dorato. Ha un impatto olfattivo molto intenso, molto schietto e molto fine, complesso, con le sue note fresche, agrumate e mielate, in modo particolare di albicocca, mela e limone. In bocca si presenta caldo e rotondo, ottima scorrevolezza, dolce ma con ancora una buona freschezza, un vino robusto. Un vino equlibrato che tende alla morbidezza, come giusto che sia per i vini di questa categoria. Al palato vengono confermati i profumi sopracitati, sentiamo del cedro, note tamarindo, canditi; dopo la diluizioni una nota piacevole di frutta secca come la nocciola. E’ un vino Equilibrato e pronto, ma sicuramente con le caratteristiche trovate si mantiene per alcuni anni. Questo prodotto ci ha impressionati, in modo particolarità per i suoi contrasti: freschi e maturi, morbidi e acidi; è un vino complesso ma con ottima bevibilità e piacevolezza. Si accompagna bene con pasticceria secca, piccola pasticceria con crema o zabaione, oppure con formaggi stagionati o con del Foie Gras. La produzione di questo vino è molto altalenante per la difficoltà della produzione e la forte influenza del andamento climatico. Sino al 2002 ne veniva prodotto circa 31 hl nel 2004 poco più di 80. Per far capire il rapporto di queste produzioni con altri vini Piemontesi abbiamo visionato i dati ufficiali ISTAT, di Asti moscato spumante se ne produce circa 550.000 hl oppure di Barolo 70.000 hl, l’intero Piemonte ha una superficie vitata in produzione dedicata alle sue 53 tra docg e doc di 52.000 Ha con una produzione di più di 3.000.000 di ettolitri. Partendo da questi dati viene spontanea una domanda: sono davvero necessarie queste piccole doc? I produttori di Loazzolo DOC, che si dividono meno di 5 ettari con una produzione di solo qualche decina di migliaia di bottiglie, quali possibilità hanno di avere promosso il loro prodotto? Tutti possiamo dare una risposta sulla base del proprio interesse ma per noi amanti delle nuove scoperte, delle piccole tradizioni, delle storie (…a volte anche leggende) che circondano il vino sicuramente diamo una risposta affermativa. Il Moscato ha trovato nel Piemonte e nei suoi uomini l’ambiente ideale per esprimere tutte le sue potenzialità in ogni sfaccettatura, pensiamo all’Asti Spumante e al Moscato d’Asti per le versioni frizzanti e il Loazzolo in questo contesto rappresenta certamente la massima espressione di questo vitigno per la versione passita. Dietro a qualsiasi bicchiere di vino c’è una storia che ci appassiona e per questo diciamo grazie a questi eroici produttori.

Disciplinare del Loazzolo D.O.C.
Il vino "Loazzolo" deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti nell’ambito aziendale dal vitigno Moscato bianco al 100%.
La zona di produzione delle uve comprende il territorio amministrativo nel comune di Loazzolo in provincia di Asti.
La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino Loazzolo non deve essere superiore a 50 q.li per ettaro a coltura specializzata. La resa massima dell’uva in vino non deve essere superiore al 55%.
Le uve devono assicurare un titolo alcolomentrico volumico minimo naturale non inferiore ai 13 gradi.
Le uve devono essere sottoposte a graduale appassimento ed eventuale infavatura da Botrytis nobile sulla pianta stessa o in locali idonei.
Il vino "Loazzolo" non può essere immesso al consumo se non dopo essere stato sottoposto a un periodo di affinamento e invecchiamento di almeno due anni a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di produzione delle uve.
Durante detto periodo, è prevista la permanenza del vino per almeno sei mesi in botti di legno di capacità non superiore ai litri 250.
Il vino "Loazzolo" all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: giallo dorato brillante;
odore: complesso, inteso con sentori di muschio e vaniglia, frutti canditi;
sapore: dolce, caratteristico con lieve aroma di Moscato;
titolo alcolometrico volumico minimo compl.: gradi 15,5 di cui almeno 11 svolti;
residuo zuccherino: minimo 50 grammi/litro;
acidità totale minima: 4,5 per mille;
estratto secco netto minimo: 22 per mille.
E’ consentita la qualificazione “vendemmia tardiva”, in considerazione che la raccolta delle uve per il Loazzolo ha luogo in epoca tardiva e scalare.
Sulle bottiglie contenenti il vino Loazzolo deve figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve.

Per informazioni
CONSORZIO TUTELA VINI D'ASTI E DEL MONFERRATO
Via Morelli 15 - 14100 Asti
Tel.  0141 598998 - Fax  0141 598984 - consorzio@viniastimonferrato.it



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