L'ITALIA DEI SAPORI

A cura di Marina Cioccoloni


CATANIA E LA FESTA DI SANT’AGATA

Una città dalle mille anime, simbolo della rinascita. Non c’è migliore modo per descrivere Catania, dalle origini pregreche e destinata poi a diventare romana, bizantina, araba, normanna, sveva, angioina, aragonese, spagnola, distrutta più volte dalla violenza della natura e dalle incursioni degli eserciti di conquista che spesso l’hanno rasa al suolo. Eppure ogni volta ricostruita dai suoi abitanti con maggior tenacia. Adagiata sulle coste del Mar Ionio, dominate dall’Etna, il vulcano più imponente d'Europa (3330 metri di altezza e 210 km di perimetro per una superficie complessiva di 1600 chilometri quadrati), da sempre è stata la testimone e vittima privilegiata dei suoi “umori”. L’eruzione del 1669, la più tremenda di tutte, che per quattro mesi vomitò lava incandescente invadendo tutta l’area catanese, modificò la morfologia della costa e l’aspetto della città: il magma, dopo aver invaso Catania e inghiottito le case superò i fossati del castello Ursino e si riversò in mare per circa 2000 metri, facendo sparire le ultime tracce rimaste degli insediamenti che nei secoli si erano succeduti. A far scomparire quel poco che era rimasto ancora in piedi ci pensò il terremoto poco anni dopo, precisamente nel 1693, quando la zona fu devastata nuovamente. Ecco spiegato perché quella che vediamo oggi è una fascinosa città in puro stile barocco.

Una città colta (nel 1434 vi fu fondato, da Alfonso d’Aragona, il Siculorum Gymnasium, il primo ateneo siciliano), culla della musica e del teatro, tra i suoi figli illustri vanta musicisti del calibro di Giovanni Pacini e Vincenzo Bellini, e scrittori come Luigi Capuana e Giovanni Verga, che poco a nord della città, ad Aci Trezza, ambientò i Malavoglia, forse il suo romanzo più famoso.

Chi è in cerca dell’idea in più per partire alla scoperta di questa fantastica città solare e luminosa e dei suoi splendidi dintorni può approfittare di un’occasione privilegiata, un’antica festa ricca di suggestione che si svolge ogni anno dal 3 al 5 febbraio: la festa di Sant’Agata. Sono tre giorni di devozione e folklore che coinvolgono tutti i catanesi, molto legati alla loro patrona che da giovane, intorno al 251, subì il martirio per il suo rifiuto di ripudiare la religione cristiana.

La tradizione di festeggiare Sant’Agata iniziò nel 1126, quando le sue reliquie, trafugate dai bizantini e trasportate a Costantinopoli, tornarono in patria. Il 17 agosto i resti della santa vennero portati in processione per le vie della città dal vescovo a piedi scalzi, e da allora si decise di ricordare ogni anno l’evento con una grandiosa festa. Tutto ha inizio il 3 febbraio, quando per le vie della città sfila la Carrozza del Senato, in puro stile settecentesco (con all’interno il sindaco e altre autorità cittadine), insieme alle undici “candelore”. Sono queste delle pesantissime macchine di legno alte più di sei metri dipinte in oro e con intagli che raffigurano il martirio di sant’Agata appartenenti alle varie corporazioni (artigiani, ortolani, pescivendoli, macellai, ecc.) che vengono trasportate a spalla da 8 persone e che una volta servivano ad illuminare il percorso. Il corteo giunge alla Chiesa di San Biagio, dove secondo la tradizione la martire fu costretta a camminare sui carboni ardenti e poi giunge in cattedrale per l’offerta dei ceri e il primo di una serie di spettacoli di fuochi d’artificio che scandiranno di volta in volta le varie fasi della festa.



Il giorno dopo, il 4 febbraio, prima dell’alba la cattedrale si riempie fino all’inverosimile per la messa dell’aurora e assistere all’apertura della “cammaredda”, l’ambiente dove sono custoditi tutto l’anno i reliquari, cioè il busto d’argento e lo scrigno con le reliquie di Sant’Agata. Il busto tempestato di gioielli, con in capo la corona che la tradizione indica donata da Riccardo Cuor di Leone e la croce di Cavaliere della Legion d’Onore donato a Sant’Agata da Vincenzo Bellini e lo scrigno escono, sorretti da fedeli che indossano una tunica bianca, e trainati da una serie di giovani che tirano delle grosse funi poiché il fercolo pesa fino a 30 tonnellate. Accompagnati dalle candelore passano davanti ai luoghi più significativi del martirio della santa attraversando tutti i quartieri della città e facendo rientro in cattedrale solamente all’alba del giorno dopo.

Il 5 febbraio pomeriggio il busto della santa e lo scrigno escono nuovamente e, ondeggiando tra la folla, percorrono con un andamento lentissimo il centro della città seguiti da una folla di devoti che portano sulle spalle ceri accesi dello stesso peso del proprio corpo in segno di purificazione. La processione termina con il rientro in cattedrale in un tripudio di fuochi d’artificio per ricordare che la santa è la protettrice contro il fuoco e gli incendi, compresa naturalmente la lava dell’Etna.



La sosta a Catania è l’occasione per gustare l’ottima pasticceria siciliana, tra cui in particolare le olivette di Sant’Agata, dolci tipici di pasta di mandorla di colore verde a ricordo dell’ulivo selvatico che crebbe spontaneo nel luogo dove la martire si chinò per allacciarsi un calzare mentre veniva condotta al supplizio, e i minni di Sant’Agata, piccole cassate a forma di seno con una ciliegia candita a mo’ di capezzolo a ricordo della terribile amputazione subita dalla martire.

Per ulteriori informazioni: http://www.festadisantagata.it/index.php

(foto di Monica Vinciullo)


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