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ATTORNO
ALLA TAVOLA
A cura di CARLO PASSERA [ passera.web@asa-press.com
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MANGIAMO ITALIANO (O COSI’
CI FANNO CREDERE)
“Il Natale? All’insegna della tradizione”,
ci è stato spiegato. “Capodanno a tavola con il made in Italy”,
abbiamo appreso poco più tardi. Insomma: la tendenza da tempo in
atto pare aver decisamente sfondato nella mentalità popolare: si
mangia e si beve (nel caso di feste comandate, ci si abbuffa e si brinda)
scegliendo prodotti di qualità ma senza più puntare sull’esotico
(ormai non più tale: cosa esiste ormai di davvero irraggiungibile,
anche solo per un reddito medio e una volta l’anno?). Cibi dai nomi
strani e preparazioni particolari non sorprendono nessuno: anzi infastidiscono,
perché spesso nascondono una eccellenza solo teorica. Così,
si cerca piuttosto la qualità nostrana: chapeau. Al di là
del consumo natalizio, i dati più recenti confermano clamorosamente
il trend. E le prospettive sono anche migliori. Secondo un sondaggio commissionato
da Ancc-Coop Italia, nel carrello della spesa del 2007 il 32% degli intervistati
prevede di mettere più prodotti italiani, il 18% più prodotti
tipici e locali mentre solo il 6% pensa di aumentare gli acquisti di private
label (ossia i marchi “interni”, ad esempio delle grandi catene
di distribuzione) e il 5% di prodotti di basso prezzo (cosiddetti primi
prezzi).
Non si tratta, d’altra parte, di una tendenza solo nazionale. Nello
scorso anno si è infatti assistito a un vero e proprio boom generale
per la dieta mediterranea made in Italy anche all’estero, con un
aumento record nel valore delle esportazioni di olio (+20 per cento),
vino (+6,4 per cento, export da 3 miliardi di euro e un fiume di spumante
per le feste di fine anno in mezzo pianeta), pasta (+3,2 per cento), verdure
(+5,8), frutta (+3,2) e persino della conserva di pomodoro (+1,4 per cento).
Ciò, dopo anni di stagnazione. Complessivamente le esportazioni
dell’agroalimentare nostrano hanno fatto registrare un aumento del
6 per cento nei primi nove mesi del 2006: il che significa un giro d’affari
da record, oltre 20 miliardi di euro a fine anno. Tra i Paesi che apprezzano
di più il Belpaese a tavola si classifica in pole position la Germania
seguita – ha spiegato la Coldiretti - da Francia, Stati Uniti e
Spagna; tra i nuovi clienti si afferma la Cina, dove l’agroalimentare
italiano raddoppia e con un aumento del 129 per cento è il settore
economico nazionale che fa registrare il più elevato tasso di crescita,
con valori da primato per i vini (+117 per cento), oli e grassi (+148
per cento), formaggi e lattiero caseari (+1.077 per cento) e pasta (+49
per cento).
Tutto bene dunque? Sì e no. Perché se il made in Italy tira,
va forte anche il “taroccamento”. Imperversa la contraffazione
e la pirateria, il mercato mondiale delle imitazioni di prodotti del Belpaese
è stimato in 50 miliardi di euro pari a circa la metà dell’intero
fatturato del settore originale. Per questo bisogna lavorare sulla valorizzazione
dell’identità territoriale con informazione capillare e obbligo
di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti, in Italia
come all’estero. Dai risultati dell’Indagine 2006 Coldiretti-Ispo
emerge che il 92% degli italiani desidera sia sempre indicato in etichetta
il luogo di allevamento o coltivazione dei prodotti agricoli contenuti
negli alimenti (+6% rispetto allo scorso anno). E secondo l’indagine
la maggioranza dei nostri connazionali è anche disposta a pagare
di più pur di assicurarsi l’origine doc degli alimenti, specie
dopo il ripetersi di emergenze sanitarie, dalla mucca pazza all’influenza
aviaria, e il rincorrersi di scandali alimentari, dalla carne agli ormoni
del Nord Europa all’importazione illegale di riso contaminato da
organismi geneticamente modificati. Oggi, sugli scaffali dei supermercati,
è invece straniero l’olio di oliva contenuto quasi in una
bottiglia su due, ma ai consumatori viene presentato ugualmente come italiano
perchè sulle etichette non è obbligatorio indicare l’origine
delle olive. Vengono così spacciati come made in Italy miscugli
di olio spremuto magari da olive spagnole, greche e tunisine. Ancora,
è possibile vendere impunemente come nostrani i prosciutti ottenuti
da maiali allevati in Olanda e Danimarca ed addirittura la macedonia in
scatola composta da ananas e acini di uva extracomunitaria, prugne bulgare
e pere cinesi. Vogliamo mangiare italiano, siamo disposti a pagare per
farlo eppure ancora non è stato creato lo strumento per garantire
una scelta sicura: non sarebbe forse ora di porre rimedio?
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