ATTORNO ALLA TAVOLA
A cura di CARLO PASSERA [ passera.web@asa-press.com ]


L’UMBRIA DEI “BIANCHI”: ALLA RISCOPERTA DEL TREBBIANO SPOLETINO

Terra difficile, legata ancora al mondo contadino e arcaico, l’Umbria è la “madre” di vitigni straordinari, quali il Sagrantino, diventato il simbolo del territorio di Montefalco. Forse non tutti sanno però che, storicamente, l’Umbria era soprattutto vocata alla produzione di vini bianchi, come dimostra lo studio sulla vite e sul vino del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, pubblicato nel 1896, dove si affermava che “la quantità del vino bianco prodotto nell’Umbria sta a quella del vino rosso come 21:4”. Anche l’inchiesta Agraria di Stefano Jacini a fine ‘800 confermava questo e, in particolare, evidenziava l’alta vocazione alla produzione di un vitigno: il Trebbiano Spoletino. Nell’antichità a Spoleto la vite veniva coltivata abbondantemente, soprattutto con sistemi promiscui: i risultati erano molto interessanti, come dimostrano le testimonianze di viaggiatori e storici già nel 1500. Tra le uve maggiormente coltivate vi era appunto il Trebbiano, il cui nome sembra derivare dal termine “Traibo”, parola franca che indicava “un rampollo di una nobile famiglia”, nel senso che era vitigno selezionato e raccomandato. All’epoca, peraltro, solo alcuni casati agiati producevano piccole quantità di vini rossi. Eppure quando si parla oggi di vitigni umbri a bacca bianca, come il Grechetto di Todi e il “nostro” Trebbiano Spoletino, un certo disorientamento colpisce l’ascoltatore; d’altra parte fino ad ora l'unica vera descrizione di un vino ottenuto dallo Spoletino (come era chiamato in passato il vitigno) era quella del Carducci che lo aveva apprezzato di «color d’ambra dorata e fresco e frizzante», utilizzandolo per accompagnare «le grasse, saporite trote del Clitunno». Insomma, eravamo quasi a livello di mito, o perlomeno di storia che si perdeva nel tempo.
Patrimonio che dunque sì è smarrito coi secoli, il Trebbiano Spoletino viene ora riscoperto grazie all’intraprendenza di Stefano Novelli, giovane manager a capo di un importante gruppo agroalimentare, che con l’aiuto dell’enologo Maurilio Chioccia e la consulenza dell’Università di Perugia e del professor Attilio Scienza, padre italiano della zonazione, ha dato avvio a un progetto che punta alla salvaguardia e alla valorizzazione di tale vitigno ormai in via di scomparsa. Così come spiega il diretto interessato, «Cantina Novelli sarà presto la prima a riprodurre dopo secoli il Trebbiano Spoletino e renderlo appetibile per il mercato attuale, che cerca prodotti e progetti caratteristici, ed è sempre più interessato ai vitigni autoctoni italiani». Poca documentazione scientifica e limitato materiale genetico rendono difficile il recupero del vitigno, ma Scienza è all’opera con uno studio ampelografico ed enologico e presto saranno disponibili i primi straordinari risultati. Spiega lo stesso professore: «Il lavoro di ricerca da poco iniziato ha i connotati di un complesso progetto di miglioramento genetico, originale però rispetto a quelli che normalmente vengono condotti. Infatti oltre ad interessare alcune centinaia di piante, prevede una prima fase di selezione massale che ha l’obiettivo di portare alla costituzione di nuovi vigneti formati da piante dalle caratteristiche produttive e qualitative di eccellenza ed un secondo momento di selezione clonale durante il quale le migliori piante appartenenti alle sei tipologie identificate, saranno valutate con i protocolli di omologazione della Ce per giungere ad alcuni cloni che verranno brevettati dal Gruppo Novelli».
Il Trebbiano Spoletino, pur facendo parte della grande ed eterogenea famiglia dei Trebbiani, diffusi ovunque nella viticoltura italiana almeno dal Medioevo, presenta alcune peculiarità che non si riscontrano in altri vitigni antichi dell’Italia centrale. Una ricerca effettuata dalla dottoressa Rita Chiaverini nei fondi archivistici comunali ha permesso di ricostruire la storia e la fortuna del vino di Spoleto dal XIII secolo ai giorni nostri; questo studio si è rivelato utile anche alla Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano, che sin dal luglio 2005 ha costituito un gruppo interdisciplinare di lavoro per ottenere dall’Unione Europea il riconoscimento Doc al Trebbiano Spoletino, oggi Igt. Spiega di nuovo Scienza: «La presenza del Trebbiano solo in un piccolo territorio dai precisi connotati culturali e storici e dove la viticoltura ancora oggi mantiene caratteristiche strutturali e genetiche prefillosseriche gli conferisce un valore che va la di là delle sue doti enologiche e che ne fanno un caso di studio molto particolare di variabilità intravarietale». Sono infatti stati esplorati i luoghi dell’Umbria dove il Trebbiano Spoletino cresce ancora maritato a piante vive di acero o olmo, con viti molte vecchie (spesso oltre il centinaio di anni), spesso a piede franco, cioè originarie prima della fillossera. Alcune analisi preliminari, oltre ad evidenziare rapporti di parentela con altri Trebbiani della fascia adriatica, hanno messo in luce una vicinanza genetica con il Greco bianco e nero. «E’ la dimostrazione che la variabilità di questo vitigno arcaico si è mantenuta inalterata in una zona altrettanto antica e misteriosa», chiosa Scienza. Insomma, si tratta di un vero e proprio unicum.
Situato alle pendici dei monti Martani, il vigneto dove sta rinascendo l’antico Trebbiano si trova ad un’altitudine di 380 metri ed è esposto a Sud. Il terreno è argilloso e ricco di scheletro. Il clima, caratterizzato da estati calde ed inverni molto freddi, consente alla vite di esprimere al meglio le caratteristiche di questo vitigno autoctono. Il sistema di allevamento adottato dall’azienda è il “cordone speronato” con una densità di 4.600 piante ad ettaro e una resa di circa 80 quintali. La resa dell’uva in vino è pari al 72%; a regime è prevista la produzione di circa 200mila bottiglie all’anno. La vendemmia viene effettuata proprio in questi giorni: normalmente, infatti, nella seconda metà del mese di ottobre.

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