PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]


Sommario

NUOVE ETICHETTATURE UE
IV GAMMA IN SALUTE CON QUALCHE VINCOLO


PREVISIONI ANNATA AGRARIA
I PASTI FUORI CASA VALGONO 60 MILIARDI


VINI
I LOCALI DIVENTANO MONOPRODOTTO


Cookie & Privacy Policy


ORTOFRUTTA
IV GAMMA IN SALUTE CON QUALCHE VINCOLO

Nei processi di trasformazione le carenti strutture delle medie e piccole imprese, così come quelle logistiche e distributive, frenano lo sviluppo.
Gli ortaggi e la frutta pronti al consumo, da noi generalmente chiamati di IV gamma, mentre per gli addetti ai lavori sono ‘minimally processed’, ‘fresh cut’ oppure ‘ready-to-use, vanno al galoppo. Gli ultimi dati disponibili riguardo il comparto presentati alla recente edizione di ‘Vegetalia’ dicono che sono acquistati da oltre il 40% degli italiani per un consumo medio annuo di 2,5 kg per famiglia, pari ad un volume complessivo di 58mila di tonnellate con una spesa di 500 milioni di euro. La crescita, in termini percentuali, è ormai a due cifre; ad esempio, tra il 2004 e 2005 è stata del 22%. Si tratta quindi di una realtà concreta tant’è che gli ortaggi di questo segmento sono il 10% del valore di mercato dell’intero settore ortofrutticolo. Le motivazioni che giustificano un incremento così corposo sono note: profondi mutamenti degli stili di vita, famiglie destrutturate, verticalizzazione dei pasti e soprattutto il sempre più largo impiego delle donne nel mondo del lavoro. Tutto ciò ha inciso significativamente sui modelli di consumo in generale ma particolarmente dei cibi e loro preparazioni, e quindi sulla domanda di prodotti alimentari con marcate connotazioni di servizio.
Integrazione agricola-industriale
Per quanto riguarda frutta e verdura, di pari passo - seppure dalle nostre parti, rispetto ad altri Paesi, con qualche ritardo - c’è stata la risposta delle imprese agricole e di trasformazione che, integrandosi, hanno reso disponibile un’ampia gamma di ortaggi e frutta pronta per il consumo, garantendo in pari tempo freschezza, igienicità e totale conservazione dei rispettivi valori nutrizionali. Giusto tuttavia rammentare che i processi per l’ottenimento dei prodotti di IV gamma sono complessi e laboriosi, misconosciuti o del tutto sconosciuti al consumatore. Ripassiamoli: la prima fase contempla la pianificazione delle colture, la selezione delle sementi, la loro messa a dimora e quindi il raccolto perlopiù manuale. Si passa poi alla refrigerazione, ad una prima selezione, alla mondatura anch’essa manuale, al lavaggio e asciugatura, quindi ai diversi tipi di taglio a secondo delle materie prima trattate e alle esigenze della clientela, poi all’aggiunta di antiossidanti, ad un secondo lavaggio e asciugatura. Il prodotto a questo punto è pronto per essere eventualmente mixato tra ortaggi e frutti di differenti specie, alla pesatura e al confezionamento in buste o vaschette, al loro stoccaggio in frigo o in atmosfera modificata, infine, alla distribuzione indirizzata prevalentemente al canale di riferimento che sono le catene dalla Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) le quali assorbono circa il 90% delle quantità commercializzate. Va precisato che tutti i passaggi dei processi debbono avvenire rigorosamente in ambienti refrigerati tra gli 0° e + 4° gradi centigradi, il che sottende l’utilizzo di infrastrutture adeguate.
I vincoli da superare
Rilevando l’evidente successo dei prodotti di IV gamma (e prestissimo sarà la volta della V che sta marciando celermente quantomeno nei grossi centri urbani) occorre però rammentare che il cammino per raggiungere questi risultati non è stato agevole. Percorrendo brevemente la loro storia, che inizia negli Stati Uniti negli Anni 60, si scorge che il merito della loro affermazione, oltre ai cambiamenti socio-economici e culturali della società, è da ascrivere all’utilizzo delle leve del marketing e delle innovazioni tecnologiche sia in fase di trasformazione sia all’origine, ossia in campagna e nelle serre. Sostenere che fu subito boom non è esatto; vuoi per le comprensibili prudenze verso le novità, vuoi per il prezzo elevato rispetto a vegetali e frutta tradizionali, vuoi in particolare per una shelf life limitata che ne hanno frenato per parecchio il decollo. Uno dei punti nodali è stato quindi quello della serbevolezza pur se si è ormai superata la soglia pressoché massima dei tre giorni, in essere sino a pochissimo tempo addietro, arrivando oggi di media a 7 gg.. Tuttavia il problema, sia per i produttori sia per il consumatore, rimane. Secondo un osservatore autorevole qual è il professor Roberto Dalla Casa, rimarrà ancora per un lungo periodo poiché, spiega: “La vita sullo scaffale dei nostri prodotti, rispetto a quelli di altri Paesi, è ancora limitata a causa delle oggettive difficoltà che esistono da noi per garantire continuità alla catena del freddo, sia per insufficienze strutturali degli impianti e nei trasporti. Fattori che incidono anche sulla qualità, sui valori nutrizionali, sui costi e sulle possibili innovazioni”. Citando un esempio, racconta che nei laboratori si stanno studiando nuove colture e incroci per ottenere nuovi vegetali e nuovi frutti che andrebbero ad arricchire l’offerta, in particolare per la IV e V gamma. Innovazioni che probabilmente vedrebbero frutta e vegetali con minori ritenzioni idriche e fors’anche con colorazioni e forme di maggiore appeal che ben si adattano appunto all’allungamento dei tempi di conservazione, nel primo caso, e dell’appetibilità nel secondo. Ma tutto ciò, sentenzia Dalla Casa, serve a poco se viene a mancare impiantistica, strutture e logistica adeguate. Il cahièr de doleance, da un’ottica squisitamente commerciale, lo esprime Alfio Schiatti, direttore generale di Bonduelle Service Italia. Sintetizzando, questi i punti di maggior rilievo premettendo che in pari tempo assieme ai limiti esistono comunque ancora opportunità non marginali per un ulteriore sviluppo del comparto. Riguardo il canale commerciale organizzato, è elevato il numero dei punti di consegna con basse quantità di assorbimento; salvo eccezioni i fornitori sono imprese di piccole dimensioni; inoltre vengono richiesti “pedaggi” d’ingresso e per comunicazione. Circa il canale commerciale indipendente, si osserva il fatto d’avere catene distributive lunghe con elevato rischio di invenduti; scarsa specializzazione nel fresco e quindi difficoltà a vendere questo genere di prodotti. Limiti ne ha anche il canale collettività, sia organizzata sia indipendente. Innanzitutto il fattore prezzo: il prezzo più basso è la conditio sine qua non; bassa sensibilità alle innovazioni, infatti il canale è concentrato su prodotti base, perlopiù carote e insalata mista; bassa è anche l’attenzione verso la qualità. Infine il canale vending nel quale si nutrono ottimistiche speranze ma che oggi è ancora ancorato prevalentemente sulla distribuzione di bevande; inoltre, questa catena distributiva è complessa e molto frammentata ed evidentemente con poca redditività per entrambe le parti stante la bassa rotazione. A proposito dei canali commerciali citati, giusto ricordare che la IV gamma non si esprime solamente con le buste di verdura ma si sta articolando, seppure faticosamente, con una serie di preparati fruibili in situazioni e momenti diversi nella giornata. Si pensi agli snack, verdure crude in mini porzioni, tagliate a cubetti o piccoli cilindri. A quelli che negli Usa si chiamano party trays, ossia confezioni più grandi degli snack di verdura opportunamente conditi con salse diverse e muniti di posatine monouso. In alcuni market e superstore nonché bar veri e propri si stanno affacciando i salad bar con vasti assortimenti di ortaggi e frutta riparati in atmosfera modificata disponibili a self service.

CONSUMI
I PASTI FUORI CASA VALGONO 60 MILIARDI

"New food for new people” questo il tema del rapporto annuale sui consumi alimentari extradomestici presentato alla Mia di Rimini redatto e commentato da Nomisma. Il primo dato significativo evidenzia che il pasto fuori casa ha sfondato il muro dei 60 miliardi di euro coprendo un terzo del totale dei consumi alimentari. Dal secondo dato emerge che la nuova frontiera è rappresentata dai piatti pronti consumati in ipermercati e supermercati e, nell’assortimento ogni giorno più articolato, di cibi pronti con ricettazioni delle diverse etnie di clienti. A inizio del 2005 i consumi alimentari dell'Ue sono stati stimati in 1.287 miliardi di euro, il 33,8% dei quali riconducibile ai pasti fuori casa. Tra i 25 Paesi dell’Unione, l'Italia è quello che nell’ultimo decennio ha fatto segnare il tasso di crescita più elevato (+ 25%). In Europa i consumi extradomestici incidono in media su quelli complessivi per il 33%. La situazione è però articolata. Nell'Europa del Nord il peso maggiore del fuori casa sui consumi alimentari complessivi si registra in Irlanda, con il 51,7%, in Gran Bretagna con il 48,1% e in Austria con 42,7%. Tra i Paesi mediterranei il peso del fuori casa è tra i più bassi: con una quota del 32% l'Italia è superata da Grecia e Spagna. Attualmente in Italia il mercato è stimato a 61 miliardi, in aumento del 4,9% sull’annata precedente. Il trend che indica un costante aumento della spesa del fuori casa è chiaro. Lo confermano le recenti previsioni dell'Istat che calcolano, nel 2008, a 65,279 miliardi il valore dei consumi extra-domestici. I consumi fuori casa crescono dunque più rapidamente di quelli domestici e rappresentano ormai un terzo del totale dei consumi alimentari. La spesa media mensile di una famiglia italiana per il pasto fuori casa è di circa 70 euro mentre quella pro-capite è di 27,6 euro.


TENDENZE DISTRIBUZIONE
I LOCALI DIVENTANO MONOPRODOTTO

A far da contraltare alla tendenza di mixare più alimenti e bevande in maniera confusa e un po’ arabattata tipo happy hour, brunch, ecc, in Italia fa capolino un nuovo trend che vede locali specializzarsi in un solo prodotto dove da qualche tempo hanno fatto da caposcuola le brand nazionali più note del caffè. Infatti, sono stati aperti già parecchi locali a insegna Obika, dove regna unicamente e felicemente l’autentica mozzarella di bufala, oppure ristoranti come la Taberna Imperiale (a Milano) o, ancora nel capoluogo lombardo, l'Hosteria dei formaggi. Sempre a Milano, che sembra agire da battistrada per questa tendenza, sono attive la Cotoletteria e la Cozzeria. A Verona, invece, la scelta è più sofisticata: nella sua piazza principale funziona alla grande il Bloom Caffè che propone solo profumate freschissime ostriche perlopiù francesi ma anche, come detta il nome scelto dal locale, irlandesi. Anche un prodotto tradizionale come la carne può fare da attrazione per clienti rigorosamente non vegetariani. Rispetto ai numerosi pubblici esercizi di questo genere d’ispirazione o autentici argentini con il loro asado o texani con le loro steack, al Pepe Nero di La Spezia, che è una grande macelleria con cucina, all'entrata del locale i clienti si trovano di fronte ad un enorme braciere dove si arroventa esclusivamente carne toscana, chianina in testa.