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15 maggio 2006.
Sulla Stampa di sabato scorso, 13 maggio, in prima pagina partiva un gran bel pezzo di Paolo Massobrio dal titolo chiarissimo: “La vergogna del vino con i trucioli di legno”. Occhiello: “Presto legale anche in Italia il trucco per invecchiarlo insaporendolo con sentori di barrique”.
Questa di poter utilizzare i trucioli nel vino è una delle tante brutte nuove che arrivano da Bruxelles, da una Comunità Europea che bada più alla qualità media generale, in pratica alla mediocrità di massa, che alle vere eccellenze presenti nei vari Paesi aderenti.
I vini truciolari, se mai prenderanno piede (sul fatto che verranno prodotti anche in Italia non nutro dubbi), faranno diventare quelli del falegname, piuttosto che i vini di Pinocchio, dei capolavori di umanità e calore sentimentale. Ma c’è un problema di fondo. Così Massobrio chiude il suo articolo: “Il vino al truciolo fa male al gusto e alla cultura: se lo riconosci lo eviti”.
Ecco: siamo il Paese del Tavernello, siamo invasi dai McDonald’s e dominati dal becerume calcistico-velinaro, quanti sono in grado di distinguere in degustazione i riccioli di legno? Non credo proprio che i produttori denunceranno la pratica sull’etichetta, magari vantandosene, e ricordo sorprendenti verdetti in assaggi rigorosamente alla cieca. Grandi prodotti bocciati e bollicine di cooperative sociali passare alla grande, sono all’ordine del giorno quando non si riesce a distinguere il produttore. Possibile che con i trucioli saremo tutti dei Veronelli infallibili?

Paolo Marchi


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