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VINO AI TRUCIOLI: SLOW FOOD SCENDE IN CAMPO

Carlo Petrini

26 maggio 2006. Rispetto alle produzioni agro-alimentari, quando ci mette lo zampino l’Unione Europea non c’è veramente limite al peggio. L’ultima chicca ce l’ha regalata il Comitato di Gestione dei vini di Bruxelles, dando il via all’utilizzo dei trucioli di legno per conferire al vino quel non so che di “barricato”.
Avete tanto vino di bassa qualità da rendere un po’ più fighetto? Perché stare lì a perdere tempo e soldi nell’acquisto di tante piccole botti di rovere e lasciarci il vino per mesi e mesi cercando di scimmiottare il gusto “internazionale”, quando basta procurarsi dei trucioli, buttarli in tini enormi d’acciaio e il gioco è fatto in quattro e quattr’otto? Otterrete il sapore di legno tipico dei vini pazientemente affinati in barrique, coprirete i difetti, e potrete vendere il vostro prodotto a poco, perché vi sarà costato meno produrlo. È questo il punto principale per cui la UE ha avuto la pensata: siccome questa tecnica furba è usata da tempo in Australia e negli altri paesi extraeuropei che stanno conquistando grosse fette del mercato internazionale, perché non consentirla anche agli europei per poter fronteggiare questa concorrenza “sleale”?

Detto fatto: nel nome del mercato e della competitività siamo sempre lì ad abbassare l’asticella della qualità minima, fino a che non sarà più neanche necessario saltare. Consentiamo Ogm, ogni sorta di sofisticazione, ogni ritrovato che permette di abbassare i costi di produzione in sacrificio di tradizione e qualità e ci ritroveremo con un pugno di mosche, omologazione imperante, meno gusto, meno ricchezza e chissà quanti scandali da affrontare; con i soliti, pochi grandi che si ingrassano alla faccia dei piccoli bravi produttori.
Ci giochiamo davvero male le nostre carte. Solo poche settimane fa ho affrontato in questa rubrica il problema della concorrenza dei vini extraeuropei, invocando una sterzata continentale in favore della tradizione, della ricchezza delle nostre denominazioni, dei nostri territori, dei nostri vitigni autoctoni e caratterizzati. Una battaglia commerciale che l’Europa può tranquillamente vincere nel nome della qualità, della varietà e della sua nobilissima storia enologica. Dicevo per l’appunto che è inutile rincorrere gli altri sul loro terreno: abbiamo le nostre splendide specificità, perché buttarle al vento?

Invece, ecco che puntuale e “tafazziana” (ve lo ricordate Tafazzi di “Mai dire goal” che si prendeva a mazzate sugli attributi?) la Commissione che dovrebbe difendere i nostri produttori fa la sua bella cavolata.
È vero che l’Italia (i singoli Paesi possono definire l’applicazione delle regole) ha già deciso di consentire la pratica dei trucioli soltanto per i vini da tavola, lasciando per fortuna esenti i vini a denominazione di orgine, ma è anche vero che l’appetito vien mangiando, e mi chiedo quando si farà il passo successivo, quando si abbasserà ancora un po’ l’asticella: è solo questione di tempo.
Tra l’altro non sarebbe prevista nessuna forma di etichettatura, soltanto il semplice divieto di scrivere “invecchiato in barrique” per chi usa i trucioli: e ci mancherebbe!

Io invece credo sia il caso di iniziare subito una battaglia perché questi vini siano riconoscibili a chi compra, che l’etichetta parli chiaro. Ve lo immaginate il consumatore che si ritrova una bottiglia con su scritto “affinato con trucioli di legno”? Pensate che poi abbia tutta questa voglia di portarsi a casa il prodotto?
No, non ci siamo: la notizia è soltanto di due giorni fa, non c’è ancora stato il tempo di organizzarsi, ma vi dico che a Slow Food abbiamo tutta l’intenzione di lanciare una campagna forte, con manifestazioni di duro dissenso e fare tutte le pressioni possibili sull’Unione Europea perché annulli la decisione o quanto meno ponga chiarissime regole di etichettatura.

Propongo una sottoscrizione quanto più ampia possibile, una raccolta di firme in cui possano manifestare la loro contrarietà e il loro disappunto i produttori e le associazioni di categoria, in cui dichiarino il loro impegno a non utilizzare queste pratiche ridicole per il buon nome del nostro vino. Penso che sia il modo migliore di reagire: dichiarare la propria estraneità a questi metodi, per far sì che, di lì in poi, chi si chiama fuori automaticamente possa essere sospettato, senza bisogno neanche di etichette.
Non ne possiamo più di continuare a subire questi attacchi alle nostre grandi risorse, alla nostra cultura contadina e al nostro essere produttori di grandi eccellenze: vi informerò presto su come fare per unirsi al coro di protesta.

Tratto da Agricoltura – La Stampa del 14/05/2006


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