FATTI E PERSONE

A proposito di cultura, comunicazione e marketing
Questo è l'ultimo articolo di Francesca Bizzarri. Lo ha scritto in occasione della sessione invernale della Tavola della Comunicazione Alimentare Italiana che si è tenuta a Montepulciano il 5 dicembre 2008. Il comitato editoriale de I Quaderni Poliziani, di prossima pubblicazione, ritiene però sia giusto divulgare adesso questo suo contributo alla discussione e all'approfondimento dei temi che più interessano il comparto alimentare. Pubblicarlo è il modo migliore per ricordare e salutare Francesca, un'amica ed una professionista che ci ha lasciato nelle scorse settimane (www.italiaatavola.net).

C’era una volta, così potrebbe iniziare questa divagazione. Quando gli unici mezzi di comunicazione di massa erano i libri, i giornali, il cinema e poi la radio e la televisione, la società e i modi di relazione tra gli umani erano diversi. Oggi resta di quell’epoca remota forse ancora, come luogo deputato al pettegolezzo e alla comunicazione di notizie, il bar del paese sulla piazza, (o nel caso dell’ambiente di lavoro quel pezzo di corridoio tra i cessi e la macchinetta del caffè). In quei giorni all’alba dell’età contemporanea, quando il telefono era un apparecchio fisso nel muro dell’ingresso che si usava per informazioni urgenti insieme alle lettere e ai telegrammi, si viveva in beata solitudine senza essere connessi alla rete. Anche allora quando il concetto di comunicazione di massa era al di là da venire, di vino si parlava comunque. Magari non con il proposito dichiarato di venderlo ma come prodotto che faceva parte della vita quotidiana e permetteva la comunicazione con il divino, la fuga attraverso la sobria ebrietas dalla realtà personale. I nomi dei vini che tutti conoscevano erano pochi, forse 4 o 5 almeno a livello mondiale, tra questi senza dubbio lo Champagne, simbolo di lusso e di sfrenati piaceri, era ai primi posti. In un film della serie di James Bond troviamo in una stessa sequenza il mito planetario dello Champagne e il rustico, italianissimo, provinciale, fiasco del Chianti.
Nel 1963 entrambi vengono nominati da James Bond alias Sean Connery in 007 dalla Russia con amore di Terence Young. Siamo sull’Orient Express, Bond è in missione in Turchia in lotta con la Spectre, la malvagia organizzazione criminale che vuole dominare il mondo. Sul treno Bond ordina del vino per la bionda e bella spia russa Tatiana, vittima inconsapevole del KGB e dell’inesperienza di Bond per i vini italiani, ovvero della scarsa conoscenza a livello internazionale delle nostre realtà vinicole. Infatti al cameriere che gli chiede bianco o rosso Bond risponde “del Chianti bianco” mentre già sul tavolino fa bella mostra di sé una bottiglia di champagne Blanc de Blanc Tattinger. Tanto per dire che sullo Champagne non si scherza anzi si è così esperti da scegliere un blanc de blanc (ovvero fatto solo con uve bianche e non anche con uve rosse come solitamente avviene), mentre sul Chianti quello che importa non è il vino ma evidentemente il contenitore, ovvero il fiasco. E pensare che è lo stesso Bond in un altro film della serie ad ordinare con precisione Dom Perignon del ’54. A meno che non sia un omaggio alla bella Tatiana, con cui ha appena fatto l’amore, visto che se gli uomini preferiscono le bionde, si sa che alle donne il vino piace soprattutto bianco… Altra possibile ma improbabile interpretazione è che Bond sapesse che il rosso Chianti sei secoli fa era bianco, quando Ser Lapo Mazzei e il suo amico Francesco Datini di Prato registrano la prima vendita di un vino chiamato Chianti, ed è curioso pensare come allora il Chianti migliore fosse considerato quello bianco e probabilmente dolce, mentre oggi è rosso, corposo e secco. Ancora prima, nel ’300 il Boccaccio nel suo Decamerone giustificava il gran bere del suo tempo per ragioni profilattiche, specialmente contro la peste per cui “è medicina certissima”. Il Petrarca, invece, anche lui toscano, è severo nei confronti del vino, si dice addirittura che nei suoi anni giovanili fosse astemio. Poi si convertì alla medicina della vigna “che è antidoto alla lussuria e conforto alla temperanza”.
Ancora nel ’600 il famoso medico poeta Francesco Redi pur avendo in alta considerazione il Chianti, secco, invecchiato e robusto, seguendo la predilezione per il gusto dolce dei contemporanei ci elogia le proprietà di un Vin Santo dal colore ramato. “Questo è Occhio di Pernice che fa l’uomo sano e felice”. Divagazioni a parte, resta il fatto che il Chianti arriva sullo schermo con lo Champagne, e se consideriamo i milioni di persone che hanno visto i film di James Bond in tutto il mondo, viene da piangere a pensare all’occasione sprecata. E anche se sembra sia passato un secolo, gli anni Sessanta sono quelli in cui inizia l’era della comunicazione di massa, quando il cinema, la radio e la televisione determinano le scelte dei consumatori. Prima di tutto ciò tracce di comunicazione “involontaria” cioè non funzionale a vendere, si trovano nei poemi e nei romanzi o nella rappresentazione teatrale della vita quotidiana.. Sempre a proposito di Champagne e di bella vita mi viene in mente che, malato di malinconia russa Evgenij Onegin, protagonista di uno dei più famosi romanzi di Pushkin, dopo gli anni di bella vita a Parigi si rifugia nel suo possedimento in campagna e li coltiva la prediletta abitudine di bere vini scelti e preziosi come lo Champagne. In un pranzo con il suo vecchio amico Lensky si gode quello “della Vedova Cliquot o di Moët” che allieta “la tavola davanti a loro”.
Un altro vino celebre e dai forti contenuti simbolici era il Porto, reso famoso dagli Inglesi. Un vino che in molti romanzi dalla Austen in poi, pallide zitelle si concedono davanti al caminetto, come medicina per una solitaria e nascosta infelicità. In auge nei salotti buoni della società vittoriana, era concesso anche alle donne di berlo, travestito da medicinale o cordiale. Ma lo bevevano anche gli uomini mentre affumicavano con i loro sigari le scure sale dei club più separatisti o dopo cena accanto al camino, mentre le donne pettegolavano di plum pudding, balie e servitù. E sempre il Porto è il protagonista di un telefilm della serie Tenente Colombo. Una delle battute iniziali è quella del tenente che chiede con la consueta aria sorniona: “Non bevo mai qualcosa che non so pronunciare…ma questo nome voglio impararlo, come si chiama questo vino, Cabernet sauvignon?” chiede Colombo all’esperto, appassionato di vino, in odore di assassinio, elegante e presuntuoso, con la puzza sotto il naso, esattamente come un americano può immaginare il fine intenditore di vino, snob ed antipatico. E che si tradirà proprio al ristorante davanti ad un Porto del 1945 della Cantina Ferrier dichiarando che era stato rovinato perché esposto ad una temperatura troppo elevata. Potrebbe non farlo ma è più forte di lui, l’unica bottiglia di un Porto divino distrutta e imbevibile è un crimine contro l’umanità per chi vive la sua vita in bilico tra deliri mistici e dati oggettivi, in un’altra dimensione, in cui gli unici amori veri sono le bottiglie-oggetto di passioni da feticista.
Il dialogo è tratto dall’ episodio “L’uomo dell’anno” e fa parte della terza serie del famoso tenente dall’impermeabile stropicciato, alias Peter Falck, trasmessa tra il 1973 e il 1974. Rivisto recentemente in televisione non si può fare a meno di pensare quanto sia diverso oggi l’immaginario che si muove intorno ad una bottiglia di vino Oggi che siamo sommersi di informazioni, che le guide dei vini eccelsi, premiati, imperdibili di cui bisogna scrivere e parlare sono centinaia ( si farebbe prima ad elencare quelli non premiati) forse dovremo tutti fare autocritica ed arrenderci all’evidenza, la nostra è una società senza Dio (come cantavano i Nomadi negli anni Settanta, Dio è morto) la mole di carta stampata è tale da diventare solo carta scritta, omologabile e ad un passo dalla carta straccia. Ed è quasi impossibile superare la soglia del rumore prodotto dalla tv perché l’ipotetico cittadino consumatore a cui ci indirizziamo possa capire il senso delle parole che scriviamo.
Francesca Bizzarri

Nella foto di Pasquale Spinelli Francesca a Montepulciano a luglio dello scorso anno