EVENTI

Qualità e Ristorazione

Eventi al Salone dei Sapori – 10.11.2005 - Commercio e Ristorazione di Qualità

L’evento programmato dalla Regione Lombardia con una definizione per lo meno complessa come quella stessa del termine “qualità” ha richiamato l’attenzione di ristoratori, operatori della filiera agroalimentare, giornalisti ed altri curiosi per ricevere un’illuminazione necessaria nella ridondanza della comunicazione gastronomica di questi ultimi anni, piuttosto disordinata.

Un’abbondante dozzina di relatori a testimonianza delle componenti protagoniste del tema, in primis le autorità con potere giuridiszionale, pubbliche e private, è stata con garbo chiamata ad esprimere il parere della “parte” dal conduttore del “talk show” Riccardo Lagorio, in una difficile parte di concedere lo spazio richiesto per specifiche riflessioni sul tema.

Non erano state presentate tesi precostituite né obbligo di conclusioni, ma le domande chiaramente espresse e a cui la Regione Lombardia appare interessata sono: quale è il rapporto tra commercio e ristorazione di qualità? Quali le prospettive dell’alta ristorazione?
L’assessorato al commercio, fiere e mercati della regione lombarda ha avuto la sua panoramica...

Sinteticamente le opinioni emerse:
Lagorio, inizialmente, dà la parola all’assessore regionale che evidenzia l’interesse alla “nicchia” di prodotti di “altissima qualità” che interessano la strategia della Regione nella filiera. Egli evidenzia quanto sia importante l’accesso alle specialità della Lombardia e quanto la ristorazione di “altissima qualità” possa fare per promuoverne l’immagine.

Emerge una difficoltà al reperimento e la necessità di moltiplicare l’esempio anche attraverso le vere “trattorie” con diretto legame con il territorio nella “diffusione” della bontà dei prodotti. Cosa farà Udirtà, la nuova associazione di ristoratori di “alta qualità” costituita da un anno?
Il suo portavoce, signor Vittorio Fusari, risponde alla domanda “ma cos’è l’alta qualità?”.

Più che alla risposta che abbraccia un intreccio di definizioni e di significati ambigui d’uso del termine stesso di “qualità” riferito alla filiera completa dai prodotti fino alla tavola, Fusari si sofferma a descrivere sommariamente carattere e scopi di Udirtà rispetto ad altre associazioni di ristorazione.

La sintesi degli scopi di Udirtà non è felice e chiara per chi non conosce la tematica della ristorazione chiamata “di qualità”, nonostante siano toccati tutti i “punti chiave” che ne caratterizzano l’atto costitutivo e scopi. Tra questi il principale è di costituirsi come “sindacato”, quindi a difesa della ristorazione (di qualità o di alta qualità? di qualità trasversalmente intesa e richiamata nel “Decalogo”, o di qualità per ricerca di rarità di prodotto o gastronomica o di professionalità?).

Forse si è accorto di essersi infilato in un labirinto, soprattutto quando ha cercato di rispondere alle osservazioni del conduttore sull’interesse a recepire la volontà della strategia regionale alla promozione di territorialità dei tesori regionali “non solo di nicchia” e al confronto dei soci di Udirtà con i locali comunemente facenti parte dei “pubblici esercizi”. Quale differenza alla fine? solo di prezzo o di prodotti e di qualità?

Ermes Annigoni, Presidente di FIPE Confesercenti, non contribuisce a schiarire idee e perplessità richiamandosi alle definizioni di legge delle tipologie di “pubblico esercizio”... in esercizio attivo: ristorazione di comunità, mense e circoli, associazioni di ristorazione come la stessa Udirtà, che chiama “ristorazione gourmet”... Sono citati in serie aggettivi e apposizioni da associare al termine “qualità” come “a tutti i livelli”, “di sicurezza sanitaria”, “di trattoria”, “di laboratorio”... “di nicchia”.

Fusari deve intervenire per chiarire quanto Udirtà significhi non tanto “qualità del locale” quanto “qualità trasversale”, “show room di tutta la ristorazione”... ma non risulterà convincente per chiarezza di espressione di concetti e problemi forse ancora non messi a fuoco dal gruppo con convinzione della necessità di presentare punti di vista già dibattuti pubblicamente.

E’ chiaro che Udirtà vuole essere un riferimento per una specifica categoria trasversale di ristorantori che non si accontentano d’essere solo di prestigio... e non cercano un riferimento solo promozionale ma anche rappresentativo della stessa storia, cultura e vanto della gastronomia italiana integrata nel suo territorio e contemporaneamente aperta alla sfida dell’era della globalità.

Emerge la denominazione “tipicità”: il conduttore chiede le riflessioni di un editore della filiera, il gruppo Veronelli, che tende ad associare territorialità con tipicità e con tradizionalità. Contesta il concetto di qualità espresso poco prima come “Show room della ristorazione” a meno che non ci sia di mezzo una “personalità propria” radicata nel territorio che le “guide” possano riconoscere, segnalare e mettere in relazione con il cliente. Qualità è termine che non va confuso solo quando la ristorazione la associa con “ricerca”, ma anche con “accoglienza”, ambiente...

Lagorio chiede un commento all’associazione consumatori ADOC, rappresentata da Nunzio Buongiovanni. Compare una ristorazione a più velocità, a più livelli. Cosa ne pensate? ADOC contesta l’interesse iniziale della Regione ai “prodotti di nicchia” in quanto non “distribuibili” tramite la GDO... Esalta i Consorzi e i Marchi per la divulgazione dei prodotti... Si rifà, oltre ai fattori di prezzo-prestazione, anche all’effetto “tasca”... e mette in ridicolo le bufale di marchio di tradizione come nel caso del vino Bonarda... da Santa Cruiz, Argentina, forse dalla valle pre-andine di Mendoza... Tra l’altro si tratta di vini di alta-ottima qualità dei nostri progenitori espatriati nell’ottocento che hanno fatto di Mendoza un paradiso del vino, da poco scoperto anche da quel mondo vino e gusto diventato una lobby capace soprattutto di parlare a se stesso...

L’altra Unione Nazionale Consumatori, con Elena Venditti, ha centrato bene il tema della tavola rotonda mettendo in evidenza che la Ristorazione di Qualità nel quadriennio ha fatto lievitare i propri prezzi del 8% complessivo... mentre la media – quella dei 40 Euro – li ha raddoppiati...

Scandalo nascosto dalla comunicazione di massa: una porzione di verdure al banco di una tavola fredda a 7 Euro fa molto più danno di una “degustazione guidata” in un locale di “alta qualità”...
Ha inoltre citato l’esca del “coperto”, abbracciata o da chi l’aveva già eliminata o da chi l’ha ripartita sui singoli prezzi... come ha chiaramente scoperto l’attenta osservatrice, forse aumentando così, molto più che la ristorazione di nicchia, l’impatto del conto a fine pasto...

Bar e locali d’ogni genere strapieni a mezzogiorno per la diffusione del panino, diffusione d’ogni tipo di somministrazione alimentare, prezzi in aumento... non sono tanto dei problemi per l’associazione dei ristoranti all’interno di EPAM, a sua volta una delle strutture di Unione e Commercio in tutte le province d’Italia.

Alberto Zini, presidente dell’associazione milanese si sofferma su alcune iniziative locali, tra cui la campagna contro il “coperto”... dopo avere liquidato la “qualità” messa al mirino con iniziative di segnalazione come il “ristorante tipico”, “bollino blu”, e altre sia a livello locale che nazionale... Ognuno ha diritto al proprio progetto della qualità: atteggiamento comprensibile se si trattasse di “risotto”, ma anche quello limitatamente a uno scenario correttamente inquadrato...


Ernesto Bonsignore, direttore della rubrica Buoin Gusto, TG 5, ha messo in evidenza l’interesse all’ascolto della rubrica da parte dei ragazzi che appaiono tar gli ascoltatori più fedeli e ha sollecitato gli stakeholders a ricercare qualcuno che “tiri le fila” di una massa enorme di informazione che i mass media propagano via etere e carta stampata: occorre che si trovi il consenso, in primis nella comunicazione verso i bambini e i giovani ma anche in senso generale perchè non soccomba alla massa di notizie che accompagnano il marketing di prodotto più che aiutare alla cosceinza e alla valorizzazione del patrimonio culturale e gastronomico dei territori.

Gusto e mercato, nel rapporto tra commercio e ristorazione, assumono valore fondamentale per Marco Gatti, giornalista del Club di Papillon, editore delle guide alle ristorazioni di alcune regioni del nord Italia dirette a tenere in evidenza la segnalazione delle eccellenze di qualità e professionalità dei “maestri” e a mettere in particolare luce quegli esercizi che si discopntano dalla tendenza ad una omologazione senza personalità di una cucina mediocre. La chiamo personalmente “cucina fotocopiata”, tipicamente diffusa nelle zone turistiche di larga frequentazione da parte di stranieri – dalle grandi città alle risorse anche di nicchia paesaggistica – con un assestamento di prezzi che si avvicina ai 40 Euro... per un pasto completo all’italiana.

Il moderatore stimola riflessioni sulla ristorazione che alla qualità contribuisce anche ad un rapporto di cultura, alla difesa dell’eccellenza, dell’accoglienza, della coscienza di praticare un rapporto qualità/prezzo accettabile dal consumatore: la massa delle informazioni porta a confondere qualità con rarità, prestazione d’arte del cuoco con produzione di serie, fantasia gastronomica e fedeltà alla tradizione con l’ammissione di falsi modelli imitabili o addirittura copiati senza una partecipazione creativa.

Roberto Restelli, ex dirigente del servizio Guide della Michelin, dopo avere premesso di essere passato ad altri incarichi nel gruppo dal 2000, ha voluto evidenziare come nella strategia della “Rossa” non esiste la contrapposizione tra “Guida” e “ristoratori”. Ciascuno svolge con libertà il proprio ruolo, senza compromessi. In merito ai prodotti alimentari di “nicchia” tipicamente italiani un freno alla loro diffusione è determinato dalla “reperibilità” che finisce con la deformazione del senso comune del loro riconoscimento di qualità. Un consiglio? Purtroppo i consumatori non sono molto attenti ai parametri di “qualità” reputati “di valore” gastronomico.


In Francia ci sono libri di cucina e codici d’apprezzamento della qualità gastronomica bene identificati e ritenuti di riferimento affidabile dall’opinione pubblica. La stessa Guida rossa si è costruita questa immagine anche internazionalmente, nonostante le critiche, per la scelta di segnalare gastronomicamente gli eletti, le “stelle”, a cui si applicano quei concetti. Non va dimenticato che esiste anche una scala da 1 a 5 forchette che identifica tutte le altre caratteristiche del locale, ristorante o trattoria, con quella del prezzo. Già la citazione in Guida è indice d’affidabilità, cioè indice di personalità gastronomica della proposta, per qualunque stile di ristorazione.

Mauro Piscini, patron del ristorante “Miramonti l’altro” di Concesio può rispondere anche con l’esperienza di cuochi di formazione francese alla domanda sull’importanza di “territorio” e “creatività” nella cucina di prestigio gastronomico e in quella semplicemente locale: Non può esserci una netta demarcazione, la buona cucina tende a fare coesistere esperienza e fantasia con territorio e tradizione.

Un gradevolissimo intervento va riconosciuto a Renato Farina, vicedirettore di Libero, giornalista, che si è espresso quasi per ultimo dopo avere ascoltato con attenzione le riflessioni del palco.

Sì, condivide l’effetto negativo di “informazione” disordinata sulla cucina. Il suo quotidiano cerca di segnalare quei ristoranti con identità di cui si parla meno e di prodotti che abbiano radici nei territori di presunto interesse del lettore per concludere con articoli di “costume”. Sente sinceramente di ricngraziare cuochi e ristoranti capaci di comunicare sapori genuini nonostante la crisi culturale infestante che ostacola la comprensione del perchè quel cibo, perchè in quel territorio, come si è generato il piacere del suo gusto. Il cibo non è solo nutrimento per vivere ma va vissuto, ossia conosciuto, compreso come la nostra vita: è la nostra vita.

Richiama anche attenzione alla massa di parole che accompagna un complemento importante, il vino, e tocca anche tendenze a farne un culto come quello di un certo tipo di erotismo, che a volte rasenta la pornografia...

Le conclusioni non sono una sorpresa: la Regione Lombardia è invitata e riconosce la neccessità non solo della promozione di prodotti e di ristorazione di nicchia o di alta qualità, ma la valorizzazione di tutta la ristorazione nella qualità di “vetrina” del territorio e messaggera di “comunicazione sensoriale del gusto”.

La ristorazione, in particolare “Udirtà”, propone un accordo dei protagonisti della ristorazione con gli enti con potere giurisdizionale per l’apertura di un tavolo invitato a stabilire i canoni della “qualità”...


Il colloquio è proseguito a... porte chiuse... su buona parte di questi temi tra una discreta rappresentanza dei ristoratori milanesi e degli enti presenti, attorno a un piatto di ravioli e a bocconcicini di vitello, trascurando i prodotti di nicchia che il moderatore aveva faticosamente riservato agli ospiti.

E’ risultato nuovamente assurdo verificare – dall’interno e dall’esterno - quanto i ruoli dei protagonisti appaiano confusi e spesso sovrapposti.

Se in Italia la ristorazione tradizionale, privata e padronale, caratterizzata spesso dalla presenza attiva nel ruolo di protagonismo del proprietario-cuoco, sia di ristorante che di albergo, di trattoria o di relais, ha ragione di non sentirsi rappresentata dagli enti in essere e ritiene di dovere difendersi dalla competizione di massa con la costituzione di un sindacato nazionale specifico, deve uscire con chiarezza allo scoperto.

Non in tutto il paese la situazione esistente a Milano, forse anche a Roma, grava sulla necessità di appropriarsi di un’identità sostenibile con la complessità delle frazioni in cui si divide la rappresentatività per la città, la provincia, la regione.

Il territorio è il più densamente popolato da consumatori e ristorantori della nazione, quanto sono altrettanto diffusi esercizi a cui è consentita la somministrazione di cibo al pubblico come bar, paninoteche, tavole calde, pasticcerie e gelaterie, discoteche, anche mense ed esercizi equiparati alle mense aziendali per effetto dei buoni pasto.

La coesistenza di interessi primari così diversificati, con numeri capaci di sostenere ciascuno un sindacato indipendente, è impossibile in una organizzazione come quella in carica da tanti decenni in Milano.

Il problema è prima di tutto milanese e deve essere risolto a Milano, in libertà e rispetto dei ruoli, di ogni stakeholder.

Rispetto del ruolo d’ogni imprenditore di ristorazione che non ha nè tempo nè interesse ad interessarsi dei problemi dei proprietari di bar, a semplice titolo di esempio, o di quelli delle società di ristorazione che godono spesso di strutture internazionali oltre che nazionali.

Semplicemente limitando anche il potenziale “sindacato” a sindacato di ristorazione privata tradizionale, sarebbe già un problema tenere conto della competitività della ristorazione di altra origine, come quella afro-asiatica e quella cinese. Sola Milano conta centinaia di piccoli locali, con problemi ed istanze che si differenziano a prima vista non solo da quelle della gestione del Grand Hotel et de Milan, ma anche con quelle della più umile trattoria di Corsico.

Problemi come quelli della salute e del rischio HCCP, dei tempi, oneri e regole di collaborazione con i dipendenti e con i gestori, della stagionalità, delle pratiche amministrative, della corretta gestione del rapporto con i consumatori, della qualità commerciale degli acquisti alimentari fino a quelli della qualità gastronomica, potrebbero trovare in un “sindacato” di questa dimensione un tavolo capace di interloquire con l’amministrazione ad ogni livello per rendere efficace la missione di ciascuno.

Ascoltare dispute comprensibili derivate da interferenze o delle associazioni nella libertà imprenditoriale di ciascuno o dei sindacati tradizionali in termini di diritti di lavoro o di enti interessati all’igiene e alla salute come se ciascuno dei piccoli proprietari gestisse un laboratorio con l’organizzazione della Bayer, o gestisse il suo investimento in cantina come un parco serbatoi dell’AGIP sotto l’ombrello dell’ENI, rende immediatamente conto dell’impossibilità d’attuazione di qualsiasi disegno.

Se Milano non risolve e non decolla verso l’applicazione di strade percorribili richiamandosi al meglio dello stato dell’arte nel mondo, l’Italia resterà sempre quel paese dove si mangia meglio di qualsiasi altra parte al mondo, ma si avviseranno i turisti di stare attenti agli incontri... casuali e sconosciuti.

In altre parole, Torino, affiderà l’appalto di somministrazione ai giochi invernali olimpici alla grande insegna delle patatine, perchè nessun altro sarà in grado di trattare e accettare responsabilmente e credibilmente tutte le condizioni di un capitolato d’intesa di livello internazionale accettabile da parte di TUTTO IL MONDO.

Dov’è la squadra italiana?

Enzo Lo Scalzo,
Agorà Ambrosiana, libera associazione di dibattito e confronto.