APPUNTAMENTI

CONVEGNO CORTENO GOLGI – GIACOMO BIANCHI (1905-1995)

Un altro personaggio di ceppo cortenese

Apertura dei lavori.
6 luglio

Il chairman Antonio Stefanini invita a salutare oratori e pubblico il Sindaco di Corteno Golgi sig. Giacomo Guido Salvadori (promette la destinazione di alcuni locali delle scuole alla costituzione di una bibloteca), l’assessore alla Cultura, il presidente della comunità montana, l’editore dei libri di Giacomo Bianchi (Compagnia della Stampa di Brescia, che invierà copia dei volumi presentati per una recensione alla segreteria di Asa).

La figlia minore, a cui si deve il progetto e la sua attuazione dell’iniziativa, prof. Rosella Bianchi, presenta il c.v. del padre iniziando da una personale osservazione sullo stesso nome di Giacomo Bianchi: il terzo nome alla sua nascita nel 1905 era Diogene. Come Diogene, Giacomo ha dedicato la sua vita alla “ricerca della verità”. Rosella ne caratterizza gli aspetti dell’identità morale e intellettuale rivolta alla documentazione della storia e delle tradizioni, dedicata all’insegnamento fin dal primo periodo che va dal 1930 al 1940 nel territorio di casa, a Corteno e Cortenedolo, poi a Rovato e infine a Brescia.

Si sposa tardi, anche la moglie è maestra, che condivide la missione e lo scopo di vita. Le lunghe passeggiate nella natura e in visita a parenti ed amici rappresentano lo sfogo del tempo libero: insieme apprezzano le bellezze e i doni della natura terrena ed umana con religiosità intima.
I tre figli ricevono un’educazione esemplare a cui l’istillazione dei principi di sincerità, franchezza, dovere, disciplina, amore e rispetto del prossimo, ma anche del piacere culturale e fisico, si conserverà e farà parte delle nuove famiglie.

Giacomo scriverà l’ultimo libro nel 1992,“Ventanni di sogni e delusioni”, in cui l’aspetto più intimo delle riflessioni prevarrà sulla missione divulgativa del passato. Cesserà di essere tra noi nel 1995, alla stessa data della sua nascita.

La Dr.ssa Fulvia Scarduelli, giornalista e scrittrice, tratteggia la figura della scrittore: studioso, comunicatore e maestro. Ne evidenzia ed apprezza alcune caratteristiche di metodologia d’indagine: lo studio delle denominazioni e delle radici dei nomi, l’intuizione nelle interpretazioni, la ricerca di dettagli e di documentazione storica, la chiarezza nell’esposizione dei motivi e delle ragioni di credito, cioè sviluppa una vera analisi delle fonti storiche dei documenti.
Tra le intuizioni che a trenta quarant’anni di distanza trovano conferma nelle ricerche successive:
- l’origine dei Camuni da stirpi Liguri;
- l’origine dell’uso di grano saraceno dalla presenza nel territorio di gruppi di mussulmani mobili, nomadi fino dal IX e X secolo;
- la presenza di gruppi armati ungheresi dedotta dalle denominazioni topografiche e dalla origine slava del “cuz”, in slavo “carne”, preparazione tipica delle valli di Corteno.

Analisi dei documenti reperiti e loro interpretazione linguistica, articoli pubblicati su riviste del primo novecento a volte si trovano accanto a sconfinamenti nel fiabesco: in questo è precursore della moda corrente (vedi storia e teoria del mito di Levi Strauss) di raccogliere in memorie i contenuti delle leggende tramandate localmente. Erano stati precursori di questa linea i fratelli Grimm a fine ‘800, oggi non si contano più di 4 – 5 scrittori che abbiamo affrontato questo tema in tutto il territorio bresciano da quei tempi, da cui il valore antologico della raccolta.

Nell’ultima opera (“Ventanni di sogni e delusioni”) Bianchi parla finalmente di se stesso e del suo ambiente familiare, dimostrando sincerità e scorrevolezza di stile. La sua prosa è alla portata di tutti e tende a rovistare nell’approfondimento delle proprie radici.

La relatrice evidenzia lo stile lineare e armonioso, corretto, comprensibile alla prima lettura a tutti: migliora e si semplifica con il progredire dell’età. Ha sempre esaltato l’impiego di una corretta analisi grammaticale e logica, con eccezionale capacità di trasferire i concetti ai suoi studenti. Le testimonianze dirette non mancano: dalla platea un suo studente accompagnato dal maestro dalle elementari a Cortenedolo agli studi superiori a Torino dai Salesiani testimonia con commozione la sua disponibilità tutrice paterna.

E’ Padre Mario Toffari, sacerdote, che ne riprende la traccia raccontando episodi occorsi alle scuole medie a Brescia che lo accompagnano fino alla paterna presenza in occasione della prima messa. La caratteristica dell’uomo era datata, si direbbe: una notevole inflessibilità (frangar non flectar), aveva il senso del dovere nel lavoro, amava le donne ma non era propenso a scusarne eventuali deficienze determinate dalla natura femminile, era anche un provocatore quando stimolava gli allievi alla ricerca di ragioni di opposizione… ma supportate da motivazioni razionali. Anche per gli allievi teneva al rispetto massimo per la persona, indipendentemente dalla categoria sociale.

Marcellina Bianchi, ora naturalizzata Valentini in matrimonio, vive nel territorio abruzzese di Sulmona: la primogenita riempie di interessanti osservazioni il patrimonio di conoscenze botaniche lasciatole in eredità dal papà che le aveva insegnato a riconoscere in natura piante, fiori ed erbe, in particolare le erbe officinali.

Sono sempre stato sorpreso direttamente dalla biodiversità della flora delle valli cortenesi e da notizie della antica familiarità locale, ancora diffusa, con erbe e radici che sopperivano - in tempi di carestia e di pericolo per le ricorrenti invasioni - alle esigenze primarie di alimentazione degli abitanti, soliti a rifugiarsi nelle gallerie naturali e in quelle scavate in varie ere, anche dai pagani che hanno svolto un ruolo non indifferente nella sua evoluzione storica.
Botanicamente il territorio delle valli di Corteno è caratterizzato da oltre 4000 specie in buona parte catalogate e raccolte in un erbario che è andato perduto. Uno più modesto è stato trovato in queste settimane in un solaio della casa di Galleno ed è esposto alla mostra commemorativa.

Diceva Marcellina che il patrimonio acquisito nelle valli cortenesi, arricchitosi ad ogni estate di vacanze nel paese natio, ha costituito un parametro di confronto con la flora appenninica della montagna abruzzese, della Maioella, intorno a quote simili dei 1200 msl.

La Carlina acaulis funge ancora da barometro naturale per le previsoni del tempo, petasites, mirtilli, fragoline e lamponi, ciliegine selvatiche (un progetto del CNR ne sta classificando le proprietà organolettiche specifiche) e porcini, silene, una pianta strana denominata “noli me tangere”… sono oggetto di curiosità e di ricerca di buon cibo naturale.

Ricorda la preparazione di liquori con estratti di erbe officinali come assenzio, grappe, radici di genziana che dovevano essere di un pollice di diametro unite a coccole di ginepro per una infusione che durava 40 giorni… Ricorda che papà Giacomo nelle visite a Sulmona ricercava il “prugnolo selvatico” per farne marmellata eccellente… come pure il frutto della rosa canina…

E’ un filone divulgativo che si potrebbe aprire: personalmente ne sono abbastanza attratto e in Italia mancano pubblicazioni che aiutino i ricercatori con una divulgazione corretta degli ambienti naturali in cui ricercare, classificare, conservare, usare i sapori, profumi e colori delle erbe e di alcuni dei più prestigiosi frutti. Galleno veniva chiamata in una poesia il paese del “sambuco”.

E l’erba betonica? Le foglie avrebbero fatto passare il mal di testa! Achillea, piantaggine… quante storie e leggende sono legate a questi prodotti che la natura ha regalato all’uomo, ma che sono da affrontare con sapienza e coscienza, anche con il timore di incorrere in filtri… pericolosi!

La figlia di Marcellina, dottoressa Antonella Valentini, che era di fatto l’unica giovane presente alla giornata in memoria dello zio e che ha curato l’allestimento della mostra, nel pomeriggio coordina la seconda fase del convegno.
Dopo l’interevento del Dr. Mario Bartolemo Bianchi su un tema affascinante che riguarda la parte archeologica delle osservazioni e intuizioni del papà nel territorio – le presentazioni sono dedicate ad di altri personaggi cortenesi citati nelle pubblicazioni del Bianchi.

Il gruppo familiare, completato dalla nipote, è fiero – ben a ragione – della riconoscenza espressa al capostitipe della famiglia dalle autorità del territorio e dall’affluenza del pubblico alla manifestazione. L’interessante mostra che rimane aperta per il mese di agosto si esprime con delle vetrine e pannelli illustrativi che contengono i cimeli dello scrittore come la sua Olivetti, appunti, libri, memorie, fotografie e molti oggetti personali.

Se il risultato fosse anche quello che – oltre alla soddisfazione data alla famiglia – l’evento costituisse la svolta per una rinnovata prosecuzione dello stimolo “culturale” nel territorio a cui il “maestro” Bianchi aveva sempre anteposto ogni suo interesse personale, gli eredi se ne sentirebbero completamente gratificati.

Forse il desiderio di sapere di più, di approfondire non solo a merenda ma anche nelle meditazioni nelle “stue” delle serate invernali le proprie radici si sta risvegliando. E’ come il primo fuoco. Occorre che una ventilazione moderata, piacevole e calda lo tenga vivo: può risvegliare anche il calore umano che anche in queste valli usava, ma ora non riesce più a coagulare il quotidiano degli abitanti, che si ritrovano come amici per una bevuta e una cantata quasi solo in occasione di una festa o sagra locale.

Condividendo l’augurio,

Enzo Lo Scalzo
AgoràAmbrosiana - ASA


Appendice a casa Bianchi con Marcellina, Rosella e Antonella

Ricevuti nella “stua”, in compagnia di Giuseppe Cremonesi, abbiamo scambiato quattro parole sull’evento e del suo interesse per la famiglia e per l’ipotesi che si è profilata dell’approfindimernto delle radici di vita cortenesi, ancor più gallenesi…

La famiglia Bianchi è stata sempre aperta all’intreccio di rapporti e scambi con esperienze di risultati positivi di rapporti nord sud: la biodiversità si arricchisce non solo in natura ma anche in sentimenti. Era già emerso quanto il “maestro” amasse essere protagonista anche in famiglia. La tavola gli era congeniale, anche se la tradizione gallenese non ne è tanto attratta ancora oggi. Egli trovava nel rito della cottura della polenta una convincente espressione del suo protagonismo anche alimentare!

L’alimentazione che i figli ricordano è quella frugale del territorio: ampio riferimento alla patata di montagna locale, alla sua bontà per gnocchi, purea, minestre. Minestre con rape e riso, condite con burro o magari con il grasso dei resti di “cuz”, che hanno una denominazione locale che mi sfugge, come locale è tutta la pietanza e la sua tradizione.

Orti di paese ed erbe selvatiche dal Tarassacum alle cicorie, lattughe, spinaci selvatici o farinei (gli olaci dannunziani che crescono anche in Maiella a ridosso di Sulmona) con segale, riso e polenta costituiscono la base di apporto di vitamine e di amidi… all’alimentazione anche attuale degli anziani. A Galleno non mancavano – oltre a tantissime pecore che erano alla base del “cuz” e agli animali da stalla e da campo – galline, congili e animali da cortile: essi venivano omaggiati spesso dai residenti ai maestri… regalati vivi intimorendo mamma Bianchi!
Il latte di capra o di mucca era un altro alimento fondamentale: al mattino sempre con burro e miele, a fare ricotte e casalini per una loro conservazione nelle grotte, spesso anche vicino alle vie del fumo durante la stagione della vita in malga..

Del cuz si è detto e ridetto: a casa Bianchi era abituale, con polenta e formaggio parmigiano e conservato con il suo grasso per le minestre. Altre semplici preparazioni in cucina erano facilitate da una cugina a cui era stato conferito il compito di accudire alle necessità dei ragazzi e dei maestri…

Effettivamente non posso insistere, in quanto, avendo vissuto per solo un mese la vita giornaliera a tavola a casa degli zii a Breno negli anni ’40, mi riconoscevo in una situazione simile: con mio zio Giacomo e la zia Anna poco amanti della cucina tranne che a scopo alimentare, privilegiando salumi e formaggi. Non c’è una pietanza che mi sia rimasta impressa, nonostante la dieta oppressiva… a latte e riso senza sale dettata dalla terapia. In questo caso era mia mamma che criticava il disinteresse per la mensa degli zii le cui radici non erano camune bensi istriane… Quindi, salvo statistiche migliori, la cucina dei maestri noi è tra le più attraenti per una tavolata di piacere, ma resta sempre un ricordo importante di vita.

A Marcellina ho provato a fare quella domanda a cui non avevo finora trovato risposta: papà Giacomo come altri storici hanno ripetutamente citato e sostenuto con la frase “nutrendosi di radici” i miseri nutrimenti di queste valli nei periodi di carestia. Era vera fame in anni di nevicate estive che mettevano in crisi il raccolto di segale e degli orti, o in occasione della presenza nel territorio di altri fattori, come l’invasione di un esercito straniero o il blocco ai confini.

Con sicurezza per averne fatto dotta ricerca anche personale mi dà la risposta: si trattava di radici di Bardana o Lappa tomentosa, un arbusto da cogliere al primo anno di vita che si propaga a rizomi ed è comune nel territorio. Ne cerco la descrizione. La trovo al primo tentativo su “Piante medicali e velenose” come Arctium Lappa, di cui riproduco la fotografia: riconosco il fiorellino rosa con i frutti dotati di aculei ricurvi che si attaccano alla lana delle pecore e alle calze di montagna degli umani… Marcellina mi dice che è ancora utilizzata in Cina… Marcellina mi parla delle foglie superiori, di più piccola dimensione… e delle radici.

Troverò che in Giappone fa parte del cibo tradizionale e simbolico per i primi tre giorni dell’anno denominato “kinpira gobou” (bardana): simbolizza l’energia poiché le sue radici sono ben profonde nel terreno…

Arctium Lappa
Ne riporto le caratteristiche essenziali: è pianta erbacea biennale con radice grossa fittonosa, con fusto striato, ramoso alto 50-200 cm. Le foglie sono cuoriformi ovate grandi, (lunghe 50 e large 40 cm) denticolate, bianco ragnateloso tomentose sotto. I capolini sono raccolti in racemo lasso corimbiforme. Le squame involucrali prolungate in punta uncinata ad amo. I fiori sono tutti ermafroditi di colore porporino. Gli acheni sono oblunghi, compressi costati con pappo setoloso.
Cresce comunemente presso le case, nei boschi dal mare alla zona montana in tutta la penisola e le isole maggiori. Fiorisce in luglio-agosto.

La radice e le foglie sono parti usate in medicina che contengono inulina, mucillaggine, zuccheri, un principio amaro, la lappatina, un olio volatile, tannino, materie resinose… Esercita azione depurativa, diuretica, diaforetica, antiluetica, dermopatica, astringente, cicatrizzante, vulneraria, risolutiva. All’esterno la polpa fresca si applica su foruncoli, eczema, acne, seborrea facciale, croste del latte, escoriazioni, ulcere varicose, tumori scrofolosi aperti…
Per uso interno s’impiega il decotto o l’ìnfuso di radice o di foglie fresche…

Il Trattato di Fitoterapia di Jean Valnet (Giunti-Martello, 1978) mi consente altre informazioni:
va utilizzata la radice fresca in quanto l’essicamento la rende quasi inattiva. Si usano anche le foglie e i semi. I costituenti descrittti sono olio essenziale, tannino, sali di K, Ca e Mg, inulina, principio antibiotico simile alla penicillina…!
Questo principio è particolarmente attivo contro i batteri Gram-positivi (stafilococco dorato, streptococco, pneumococco…).
Tra le indicazioni si va dalla litiasi urinaria, alla gotta, al morbillo, ai reumatismi… e alle morsicature di vipera! Forma d’assunzione: decotto di radici, polvere di radice, semi, estratto molle, tintura di estratto.
“N.B. Si dice che la radice di Bardana abbia guarito Enrico III dalla sifilide. In Giappone le radici, bollite nell’acqua salata e preparate come sassifraghe, sono consumate come verdura…”

Ecco che si ottiene la conferma della sapienza dei camuni! Anche in Cina sono noti reperti di graffiti su roccia molto simili e coevi con quelli camuni. Un’intuizione? Si sono paracadutati con un “kite” dalla catena Himalayana alle Alpi orobiche.

Mi accontento e chiudo l’incontro sicuro di memorizzare questo ricordo.


Enzo Lo scalzo, ASA – AA
Agosto 2005, Galleno