AZIENDE E PRODOTTI

ASS.I.CA.: i prezzi di carne suina e salumi si riducono alla produzione.
Al consumo crescono meno dell’inflazione. Da anni allevatori, macellatori e industria salumiera contengono i prezzi perdendo redditività nei confronti della distribuzione. Infondati gli allarmi delle confederazioni agricole.

ASS.I.CA. - che rappresenta a livello confindustriale le imprese di macellazione e trasformazione della carne, rassicura i consumatori: carne suina e salumi sono aumentati nel 2007 molto meno dell’inflazione. Come è stato confermato nella riunione di ieri a Roma con lo stesso Garante per la sorveglianza sui prezzi, i consumatori possono acquistare con fiducia carne suina e salumi, che sono da anni tra i beni stabilmente sotto il tetto dell’inflazione. Merito di questo risultato è degli anelli produttivi della filiera (allevatori, macellatori e industria salumiera) che hanno visto negli ultimi anni una continua erosione della loro redditività a vantaggio della Distribuzione. Il contenimento dei prezzi di carne suina e salumi, quindi, è determinato dai bassi prezzi praticati dagli allevatori e dall’industria di macellazione e trasformazione. Venendo alle informazioni apparse in questi giorni sulla stampa, anche al fine di ottemperare alla richiesta del Garante dei prezzi, Antonio Lirosi, e del Ministro De Castro di fornire informazioni corrette, basate su elementi e dati certi, precisiamo che:

- I consumi di carne suina e salumi non sono diminuiti. Anzi, sono aumentati
Sulla base di elaborazioni dei dati Istat non risulta il calo dei consumi denunciato dalle organizzazioni agricole. Secondo l’Associazione degli industriali delle carni nel 2007 il consumo nazionale di carne suina fresca e salumi registra, al contrario, un aumento ancor più sostenuto di quello degli ultimi anni (intorno al 2%). Lo dimostrano, tra l’altro, i dati del circuito dei prodotti tutelati (Gran Suino Padano DOP, Prosciutti di Parma e San Daniele, Salamini italiani alla Cacciatora, ecc.).

- Non esiste alcun problema di prezzo al consumo per i salumi e la carne suina
Come è stato confermato nella riunione con lo stesso Garante per la sorveglianza sui prezzi, questi alimenti hanno visto aumenti molto contenuti, anche a causa di un eccesso di offerta a livello comunitario. Secondo i dati Istat sull’inflazione di dicembre 2007, i salumi sono aumentati, nell’ultimo anno, meno dell’inflazione (1,9% contro un indice generale dell’2,6%), mentre la carne suina è cresciuta di solo l’1,1%. Con vantaggi considerevoli per i consumatori. E questo nonostante gli enormi aumenti di tutti gli altri costi di produzione, dall’energia elettrica ai carburanti, dal costo del lavoro ai tassi di interesse, alle materie prime cerealicole sui mercati internazionali. Se prendiamo il periodo 1995-2007, mentre l’inflazione è cresciuta del 30%, la carne suina è aumentata, in 12 anni, solo del 22,9% (- 7,1%), mentre i salumi addirittura del 20,6% (-9,4 %). Se si esclude la fiammata dei prezzi del 2001 (determinata dalla psicosi della mucca pazza), carne suina e salumi sono rimasti sempre sotto l’inflazione.

Suggerire che esista una speculazione a danno dei consumatori è quindi falso e irresponsabile. Le affermazioni di alcune confederazioni agricole possono ingenerare nel pubblico diffidenza e sospetto verso la carne suina e i prodotti della salumeria, compresi i prodotti DOP e IGP, realizzando così un grave danno per una filiera che sta sicuramente attraversando un momento difficile. Gli anelli produttivi della filiera (allevatori, macellatori e industria salumiera) hanno infatti visto, negli ultimi anni, una continua erosione della loro redditività a vantaggio della Distribuzione, la quale, come ha certificato Cermes Bocconi, detiene oggi più del 50% del valore di un prodotto di salumeria, mentre ad allevatori, macellatori e trasformatori rimane meno della metà del prezzo pagato dai consumatori. Nonostante questo squilibrio, il contenimento dei prezzi di carne suina e salumi è determinato dai bassi prezzi praticati dagli allevatori e dall’industria di macellazione e trasformazione, che stanno assorbendo l’aumento dei costi dei fattori produttivi, mentre la distribuzione non sempre ha trasmesso al consumatore gli sconti ottenuti, a vario titolo, dai fornitori.

- È demagogico e stravagante confrontare il prezzo del maiale con quello della braciola o del prosciutto.
Non è concepibile confrontare il prezzo del maiale con quello del prosciutto affermando che, se un maiale costa 1,2 euro al chilo e un prosciutto ne costa 22, siamo di fronte a “prezzi che dalla stalla alla tavola si moltiplicano per 20 volte”. Un prosciutto non è, infatti, come un chilo di zucchine che subisce praticamente solo la selezione, il confezionamento e il trasporto. Un prosciutto, prodotto dalla parte più pregiata del maiale, necessita di un lungo e costoso processo di trasformazione, con ingenti costi di macellazione e lavorazione. Al punto che da una maiale di 170 Kg, al consumatore non giungono più di 10 Kg di prosciutto.

- È assurdo affermare che il prezzo dei suini è “un terzo di cinque anni fa”
Il prezzo medio dei suini negli ultimi 10 anni è rappresentato nella tabella qui sotto riportata:

Come è evidente, a parte il dato anomalo del 2001 determinato dai riflessi della crisi della mucca pazza, il prezzo medio annuo è sempre rimasto compreso tra 1 euro e 1,25 euro. Cinque anni fa, nel 2002, il prezzo medio è stato 1 euro e 25 centesimi al chilo. Non si capisce come si possa affermare che il suino possa essere mai costato più di 3 euro al chilo. È evidente che le confederazioni hanno considerato la quotazione record del 2001 (dovuta al fenomeno della mucca pazza) dimenticandosi che allora l’unità di misura era la lira e non l’euro.


Info:
Tiziana Formisano- Ufficio Stampa ASS.I.CA. - Tel. 02/892590.1
Aldo Radice – Ufficio Economico e Statistico ASS.I.CA - Tel. 02/892590.1