LA VITA DELLA VITE

A cura di Marco Tonni [tonni@asa-press.com]

Nel Paese delle Meraviglie, dove nasce la qualità
Sperando che non sia solo un sogno…

Eccoci arrivati alla vendemmia del secolo, la migliore degli ultimi 15, 30, 50 anni.
Merito dell’uomo? No, della natura, l’uomo a che serve?! Terreno, sole, pioggia e vento hanno baciato anche questa stagione e dai fertili suoli e dalle ridenti colline è maturato anche quest’anno il frutto della vite che attende solo di essere pigiato e trasformato nel migliore vino che mente umana ricordi. Facile, no?
Beh, forse non proprio.
Anche quest’anno le differenze tra Nord, Centro e Sud sono considerevoli, forse più del solito, tanto che al Nord è abbastanza comune trovare uve con seri problemi sanitari, al Centro la situazione è abbastanza eterogenea ma con vigneti spesso in buone condizioni e al Sud le uve non hanno generalmente problemi.
Ma, come ricordiamo spesso in queste righe, l’uomo deve metterci lo zampino, se dall’uva si vuole fare un buon vino, e scusate la rima.
Fare un buon vino in una annata favorevole è “semplice”, perché è “sufficiente” non sbagliare nulla in cantina e, dopo mille attenzioni, cura dei dettagli che fanno la differenza, sensibilità nell’interpretazione della materia prima, premura nel seguire l’evoluzione del prodotto e rispetto delle caratteristiche e delle ricchezze dell’uva, si può giungere ad ottenere un ottimo vino. Tutto qui…
Ma se, come nel 2010 in Nord Italia, arriva qualche grandinata, che anche se leggera è sempre malandrina, se piove abbondantemente dall’inizio maturazione, se le umidità relative sono alte, allora il rischio che si sviluppi Botrite è concreto ed elevato. Facciamo un passo indietro: nel 2008 l’annata è stata terrificante per la pressione della Peronospora, che ha distrutto una gran quantità di uva nonostante gli strenui sforzi dei viticoltori nel difendere i propri raccolti. La Peronospora, tuttavia, è un patogeno che può fare grande danno quantitativo, ma difficilmente compromette la qualità dell’uva che rimane, la quale quindi può maturare bene e dare comunque un vino di qualità. La Botrite invece è un nemico più imprevedibile, dal quale ci si può proteggere essenzialmente con adeguati interventi agronomici e mantenendo le piante in un corretto equilibrio vegetativo. Inerbimento, fertilizzazione equilibrata, scacchiature e sistemazione dei germogli, eventuali sfogliature, sfemminellature, regolazione della quantità e della disposizione dei grappoli sono tutte operazioni essenziali per ridurre la suscettibilità alla Botrite. Un effetto di prevenzione parziale può anche essere fatto con costosi interventi con fungicidi antibotritici, ma questi, anche dimenticando l’impatto ambientale ed economico, hanno una efficacia del tutto marginale se non adeguatamente supportati ed integrati come sopra detto.
Ebbene, nonostante tutto ciò, se si verificano condizioni climatiche favorevoli, come nel Nord quest’anno, la Botrite riesce a farsi strada nei grappoli, si insinua tra gli acini, approfitta delle microlesioni pellicolari e si sviluppa dapprima lentamente e poi, con il progredire della maturazione, colonizza le uve sempre più velocemente e in modo aggressivo ed esponenziale. In questa fase, quando si vede la cosiddetta “muffa grigia” progredire inesorabilmente, gli interventi tardivi con fungicidi antibotritici valgono tanto quanto le lacrime del coccodrillo.
Ma non tutto è perduto. Se, come detto, in una annata favorevole “tutti” riescono a fare un buon vino, è proprio nelle annate difficili che si capisce chi ha una marcia in più. Sono le Aziende che sanno trovare le soluzioni tecniche, organizzative, logistiche e tecnologiche che permettono di ridurre la distanza tra l’annata pessima e quella buona. Sono le Aziende che non fanno un passo indietro quando si tratta di dover prendere decisioni “dolorose” per il portafoglio ma garantiscono la qualità, sono quelle che non si spaventano se in vendemmia, quando tutto sembra caotico e le ore di lavoro non si contano, sanno esprimere uno sforzo in più anche se sarebbe più comodo seguire la via più semplice.
Facciamo un veloce esempio. Se la Botrite attacca il 20% dei grappoli con una percentuale di infezione del 5% (perché ovviamente i grappoli attaccati non sono completamente distrutti, ma solo parzialmente danneggiati), si può decidere di vendemmiare indifferentemente tutto, perché “tanto il marciume è solo il 5%” (ad esempio con la vendemmia a macchina o con personale non istruito), poi si “sistema” alla bell’e meglio in cantina: il vino ottenuto risentirà della scarsa qualità delle uve. Oppure un passo in più è fare la pulizia in campo, chiedendo ai vendemmiatori di togliere le porzioni di grappolo danneggiate. Molto bene. Ma i vendemmiatori si stancano, sotto il sole tutto il giorno, e ripulire un grappolo ogni 5 comporta una notevole perdita di tempo, così il caposquadra, molto attento alle 10 del mattino del primo giorno, può chiudere un occhio alle 3 del pomeriggio del settimo, “tanto cosa vuoi che cambi?”, soprattutto se dall’alto arriva la direttiva di accelerare i ritmi della raccolta perché la vendemmia sta costando più del solito. Allora, si può aggiungere il banco cernita in cantina, dove alcune persone tolgono ciò che sfugge in campo. Anche qui però l’occhio e la mano di chi deve ripulire da marciume e foglie si stanca e, dopo 20.000 kili di uva passati davanti agli occhi su un nastro trasportatore vibrante, non credete che l’attenzione possa calare? Ed inoltre, se vogliamo essere precisi, le spore della Botrite sono presenti anche sui raspi dei grappoli “ripuliti” manualmente, quindi nel vino ci arrivano comunque. “Ma quanta può essere la differenza di qualità? Ma chi vuoi che se ne accorga?”. E poi costa.
La soluzione migliore è senza ombra di dubbio fare una doppia vendemmia, separando all’origine le uve sane dalle malate. L’uva sana darà il vino migliore, la danneggiata potrà essere ripulita con le varie opzioni già descritte. “Ma costa troppo, e poi ne vale la pena? Si devono fare due squadre, non trovo le persone, e poi servono il doppio dei viaggi, i trattoristi non ce la fanno, inoltre in cantina si devono fare più partite, servono più vasche, più pressate, non riusciamo a gestire le temperature...”. Ebbene, facciamo come al solito, allora. È più semplice, più veloce, più indolore, tante discussioni in meno e ritmi più alti. E tanti saluti alla qualità.
Concludo con una valutazione sui costi di tutto questo, anche se parlare di cifre è sempre difficile, ma credo che sia necessario per quantificare e contestualizzare meglio alcune affermazioni che altrimenti potrebbero sembrare solo retorica inapplicabile o fuori dal mondo.
Ipotizziamo che la vendemmia manuale costi 20 centesimi al kilo, più 3 cent per il trasporto. So che per molta parte d’Italia questo è un costo esagerato, ma esageriamo. Selezionare l’uva in campo e sul nastro, per ottenere un risultato buono, può costare almeno un 15% in più, quindi 26,5 cent. Fare la doppia vendemmia, dati alla mano, costa 32 centesimi tutto compreso, considerando i maggiori tempi di vendemmia e trasporto. Permette di ottenere un’uva perfetta anche in una annata pessima, ma richiede impegno operativo e, soprattutto, personale motivato e determinato a ottenere il meglio anche in una annata difficile.
La scelta è dell’Azienda: valgono la pena tutti questi sforzi e “ben” 9 centesimi in più a bottiglia per un vino migliore?
A me piace il vino buono, anche in annate difficili, e non dico altro.


P.S.: I costi indicati per la vendemmia comprendono anche le fasi iniziali di pressatura, per la lavorazione di un vino bianco.



Archivio [ Leggi le notizie precedenti ]