PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]


Sommario

PREOCCUPAZIONI AGRICOLE
IN CAMPAGNA MANCANO GIOVANI AGRICOLTORI


CONTRAFFAZIONI ALIMENTARI
AGROPIRATERIA INARRESTABILE


DISTRIBUZIONE
METRO: UN RETAILER CON IDEE


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PREOCCUPAZIONI AGRICOLE
IN CAMPAGNA MANCANO GIOVANI AGRICOLTORI
In Europa ne occorrono altri 500mila e i cittadini chiedono sicurezza su ciò che portano in tavola

Non solo dalle nostre parti ma nell’intera Europa l’agricoltura è in sofferenza. Infatti, è stato stimato che nelle campagne europee mancano all’appello almeno cinquecentomila giovani agricoltori capaci di assicurare un adeguato turn over. Nel contempo cresce tra i consumatori la preoccupazione per la sicurezza alimentare. La costante minaccia che il cibo che consumiamo possa danneggiare la salute preoccupa il 42% dei cittadini europei, fattore assai più temuto del rischio di criminalità (31%) e del terrorismo (20%). E' quanto emerge dai dati di Eurobarometro nel corso del seminario del Conseil européen des jeunes agriculteurs (Ceja ) che rappresenta 1,5 milioni di giovani agricoltori europei. Per superarla, o quantomeno per rassicurare grazie a maggiori trasparenze contenuti e provenienze, il loro organismo lancia ora la proposta dell’etichettatura di origine obbligatoria. Va ricordato che secondo l’ultima indagine di Eurobarometro, la qualità è il fattore di scelta maggiormente importante per gli acquisti seguito dal prezzo, mentre minore rilevanza hanno l’immagine e il sapore. Si tratta di dati che evidenziano, per l’agricoltura europea, la necessità di rispondere alle nuove domande dei consumatori investendo in sicurezza, sostenibilità e competitività. La preoccupazione dei consumatori nei confronti del cibo dipende altresì dalla realtà palmare che lo sviluppo di un mercato alimentare sempre più globale aumenta il divario tra agricoltore e consumatore, rendendo perciò oltremodo importante per quest’ultimo capire dove e come gli alimenti sono stati prodotti. Ecco quindi perché diventa prioritario promuovere e spiegare il “made in Europe” piuttosto che i pur significativi marchi che non sempre illustrano il risultato di un modello di sviluppo fondato sul rispetto di regole in grado di garantire sicurezza alimentare, ambientale, benessere degli animali e standard di salute pubblica. Occorre perciò - sintetizzano i giovani del Ceja - “cambiare tendenza prima di arrivare al punto in cui i consumatori non avranno la possibilità di sapere come e dove il prodotto è stato realizzato”. In questo senso è interessante la proposta di indicare obbligatoriamente sulle etichette l’origine di tutti i prodotti alimentari, sia per avvicinarsi alle esigenze dei consumatori, ma anche per migliorare la trasparenza sui mercati e sostenere il futuro sviluppo del settore agricolo e delle aree rurali di tutta l’Ue.


CONTRAFFAZIONI ALIMENTARI
AGROPIRATERIA INARRESTABILE
L’Ice ha indagato il mercato nordamericano sulle numerosissime imitazioni di nostri prodotti

Il fenomeno, ahinoi, non è certo nuovo e abbraccia ormai praticamente tutti i comparti produttivi. Il più odioso, ancorché il più delicato, è quello dell’agroalimentare che colpisce le nostre imprese, i consorzi di tutela nonché il piccolo e medio artigianato. Tuttavia, quando ti snocciolano sotto il naso dati, cifre ed elenco dei prodotti piratati, lo sgomento e le preoccupazioni salgono alle stelle. E’ quanto ha fatto l’ufficio di New York dell’Istituto del Commercio Estero (Ice) che ha realizzato uno studio dettagliato per conto della Camera di Commercio di Parma titolato “Autenticità e imitazione dei prodotti alimentari italiani in America settentrionale”. Presentato all’ultima edizione di Cibus, la disamina dello studio è stata seguita con notevole apprensione mista ad un senso di rabbia causata dal termine “sounding” usato per classificare le merci contraffate o imitate che hanno assonanza o risultano comunque inequivocabilmente afferenti con nomi, immagini, logotipi, slogan e persino packaging italiani. Per capirci, un esempio su tutti: “Parmesan” per Parmigiano Reggiano. Ricordando che la ricerca interessava esclusivamente il mercato nordamericano, certamente (ma non il solo) tra i più interessanti per il nostro export, ecco qualche cifra del danno economico, per tacere di quello dell’immagine che non è monetizzabile. Quindi, rispetto al totale del mercato Usa che vale 35.700 milioni di dollari, giusto precisare che l’indagine si è soffermata soltanto su alcuni prodotti, precisamente: pasta, pomodori, sughi, oli d’oliva e formaggi; ebbene, meno di un terzo, ossia 2.088 milioni sono realizzati da prodotti autenticamente italiani mentre 6.251 milioni fruttano agli agropirati dell’”italian sounding”. Nello specifico si può leggere che i più imitati sono i formaggi, 2.064 milioni il valore dei falsi contro 314 milioni degli autentici, seguono la pasta, i sughi, gli oli d’oliva e i pomodori. Ma chi sono i “pirati”? C’è di tutto; l’indagine ha tentato di razionalizzare disegnando una mappa di quattro famiglie, o meglio, i quattro profili più rappresentativi. La categoria più diffusa è costituita da imprese controllate dalle multinazionali, statunitensi e non, in grado di esprimere grande forza e capillarità distributiva e di promozione dei propri prodotti. Poi, le medie imprese indipendenti e le linee delle private label che lavorano per le catene della Gdo; seguono le piccole e medie aziende che producono e vendono anche direttamente ma che spesso sono controllate dai colossi dell’alimentare (tanto per non far nomi: Nestlé, Campbell, Kraft, ecc). Sarà anche esatta la considerazione finale dell’indagine che minimizza quantomeno la portata del fenomeno concludendo che questa che noi insistiamo a chiamare agropirateria invece (riporto testualmente) “appaia ai margini del mercato e, per certi versi, è più folkloristica che pericolosa”. Fatto sta che a conti fatti, se il fenomeno non sussistesse, il fatturato dell’industria alimentare italiana sarebbe più pingue di ben 4 miliardi di dollari. Alla faccia del folklore.

DISTRIBUZIONE
METRO: UN RETAILER CON IDEE
Il gruppo multinazionale tedesco è tra i più attivi e originali attori del cash and carry
Non dico nulla di originale se affermo che la filiera agroalimentare - specifica di questa rubrica - ha quale terminale i canali distributivi. Insomma è nei punti di vendita che si decreta il peso di un marchio, il gradimento di un prodotto piuttosto di un altro pur tenendo in considerazione l’abilità del marketing e la pressione della pubblicità. In Italia, a giudizio di molti, tali canali hanno ancora ampi margini di sviluppo malgrado un montagna di vincoli burocratici, edilizi, sociali, corporativi e sindacali che lo rallentano. Di più, è di questi giorni un comunicato di Federdistribuzione, che rappresenta la maggior parte della distribuzione moderna organizzata, che ha presentato alla Commissione Europea un esposto nei confronti della Repubblica Italiana in relazione ad aiuti di Stato concessi - in violazione alla normativa comunitaria - alle cooperative di consumo (aderenti a Coop Italia) sotto forma di un trattamento fiscale di favore. Trattamento - precisa la denuncia - che costituirebbe un privilegio illegittimo a vantaggio di una realtà (Coop è leader di mercato della grande distribuzione) che ha perso la natura mutualistica e la funzione sociale che in passato avevano giustificato il regime fiscale di cui beneficia, per diventare oggi un soggetto economico come gli altri. Non voglio entrare nel merito delle ragioni per cui le maggiori insegne della moderna distribuzione operanti in Italia sono di proprietà o controllate da gruppi stranieri. E’ un fatto. Quale osservatore non posso che constatare che per la più lunga esperienza maturata nei rispettivi Paesi d’origine dove la moderna distribuzione è attiva e organizzata appunto da molti più anni, le varie insegne hanno apportato una serie di importanti e funzionali innovazioni sul modo di vendere. Volutamente non entro nel contesto economico dei prezzi, né dei rapporti con i fornitori; qui voglio soltanto sottolineare gli aspetti probabilmente meno conosciuti (seppure percepiti e fruiti) dal cliente. Mi riferisco anzitutto al servizio, al disegno dei layout dei punti di vendita, alla logistica, all’esposizione delle merci sugli scaffali, ai banchi assistiti e a libero servizio, ai corner e alle avant casse dedicate agli acquisti d’impulso, alla segnaletica e via elencando. Tra le diverse forme di retailer, il magazzino all’ingrosso, altrimenti detto cash and carry, dedicato alle forniture per i dettaglianti, è stato il canale che ha avuto lo sviluppo più lento. La tradizionale consuetudine di rifornirsi direttamente dal produttore piuttosto che dal grossista-trasportatore è diminuita poiché ormai sconveniente per entrambe le parti. Attualmente resistono ancora piuttosto bene i grossisti del soft beverage, soprattutto per pesi e ingombri delle merci. Ebbene, tra le insegne delle vendite rivolte a professionisti dettaglianti, Metro, presente in Italia da 30 anni con 40 magazzini sparsi sul territorio, sta dimostrando d’essere tra le più dinamiche e innovative. Un paio di esempi, che tenterò di descrivere lo confermano. Intanto due righe per sunteggiare chi è Metro. Nato nel 1996 dalla fusione di un certo numero di retailer, il gruppo tedesco ha ottenuto buone performance prima nel suo mercato d’origine per poi espandersi nei mercati esteri. Ad oggi è stimato più o meno al terzo posto tra i grandi retailer mondiali, presente in trenta Paesi con un fatturato di 56,4 miliardi di euro. Tornano alle iniziative, la più palese non sarà certamente passata inosservata ai visitatori dell’ultimo Vinitaly e agli operatori del mondo enoico. In uno stand di 500 mq l’insegna ha allestito una cantina, identica a quella dei cash, con un assortimento di 600 etichette offrendo plurime degustazioni assistite da sommellier Ais; iniziativa che oltre alla sua clientela italiana acquisita e futura, ha coinvolto tutti i buyer Metro degli altri 29 Paesi nei quali opera. L’intelligente operazione sottendeva inoltre l’importanza che l’insegna attribuisce alla merceologia-vino; infatti, Bacco rappresenta il 6% delle vendite di un magazzino e il reparto negli ultimi anni è cresciuto del 12%. Una referenza molto importante quindi, specie se opportunamente valorizzata da un’offerta ampia e profonda, dalla razionale esposizione, da un’opportuna segnaletica e da 80 etichette prodotte in esclusiva ben segnalate dagli slim nonché, ovviamente, dai prezzi concorrenziali. La seconda iniziativa consistente in due progetti destinati specificamente ai dettaglianti alimentari indipendenti ma anche ai buyer della Gdo nonché al personale di cucina dei pubblici esercizi. Anche in questo caso la presentazione è avvenuta in una rassegna espositiva di spessore internazionale qual è Cibus. Il primo progetto si è concluso durante il periodo della rassegna e consisteva in una serie di seminari di formazione titolato romanticamente “i vecchi mestieri” dove in un’area dedicata sono stati approfonditi sei temi guida quali l’utilizzo degli attrezzi da banco, gli aspetti igienico-sanitari, la mise en place del banco gastronomia, quindi la gestione e la conoscenza più approfondita di un serie di prodotti per così dire base: i due grana Dop, il San Daniele e il Parma, il salmone selvaggio ecc. Insomma una sorta di “ripasso” in ogni caso sempre utile. Più intrigante il secondo progetto teso a fidelizzare i clienti professionale di Metro (pesano per il 32%) ed eventualmente conquistarne dei nuovi. Succintatamente si tratta di un’innovativa forma comunicazionale denominata street marketing studiata per fornire sul campo soluzioni professionali a titolari e gestori di punti di vendita offrendo, gratuitamente e senza alcun impegno, una consulenza a 360° con suggerimenti e informazioni per ridisegnare il layout del negozio, ottimizzare e svecchiare mobili e attrezzature, studiare il miglior assortimento, predisporre una dinamica commerciale e professionale adeguata all’area d’attrazione, collaborare alla più opportuna gestione commerciale. Un super truk girerà per l’Italia per 74 giorni facendo 44 tappe dalle Alpi al Lilibeo con a bordo tecnici e attrezzature informatiche atte a visualizzare in tempo reale consistenza e risultati di questa ampia consulenza. Iniziativa quest’ultima che ho trovato davvero interessante e di molta utilità. Dio sa quanto i dettaglianti italiani abbiano bisogno di svecchiarsi non solo strutturalmente ma anche mentalmente. Ma questo è un altro discorso. Devo però dire che qualcosa di molto simile in Italia s’era già visto organizzato in quel caso non da un retailer ma da una impresa produttrice di bevande. Malgrado si trattasse praticamente di un mono prodotto, ebbe un discreto successo. Con il numero di referenze che conta Metro e con il know-how specifico che ha acquisito, da discreto il successo sarà verosimilmente ottimo.