PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]

AUGURI FERVIDISSIMI DI BUONE FESTE A TUTTI I LETTORI DI QUESTA RUBRICA

Sommario

VRISTORAZIONE ALBERGHIERA
CUCINA INTERNAZIONALE? MEGLIO I PIATTI TIPICI

PUBBLICI ESERCIZI
COSTUMER-CENTRIC E’ LA NUOVA FILOSFIA

ACQUISTI
PER NATALE I BUONGUSTAI COMPRANO SPECIALITA’ ALIMENTARI ON LINE


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RISTORAZIONE ALBERGHIERA
CUCINA INTERNAZIONALE? MEGLIO I PIATTI TIPICI

Due italiani su tre preferiscono gli alberghi dotati di ristorante e 4 su 5 dichiarano di voler trovare nel ristorante d’albergo piatti tipici della cucina nazionale. Così risulta alla Federalberghi sulla scorta dei risultati di una indagine svolta a fine ottobre, intervistando 2.000 italiani rappresentativi di oltre 47 milioni di cittadini dell’intera popolazione maggiorenne. Ciò è un inequivocabile segnale delle imprese alberghiere alla domanda del mercato; un’indicazione di qualità e di completezza dei servizi verso una clientela nazionale e internazionale. Il comparto alberghiero fattura annualmente circa 29 miliardi di euro dei quali circa il 30% è imputabile alla ristorazione. Un segmento dell’offerta che costituisce uno dei cardini del sistema alberghiero nazionale e contribuisce in modo essenziale a rendere elevato ed adeguato il rapporto qualità-prezzo delle strutture rispetto alla concorrenza mondiale, tanto che ben il 65% dispone di un ristorante. Sono, in effetti, ormai lontani i tempi che in Italia, rispetto a tutto il resto d’Europa e del mondo, si rifuggiva dal mangiare in albergo. Ci sono voluti anni affinché le catene alberghiere intuisse che la ristorazione non era sola da considerarsi un complemento dei servizi standard ma uno dei punti di forza dell’offerta. La controprova si ha scorrendo l’elenco degli chef stellati scoprendo che quasi tutti operano o hanno operato nelle cucine degli hotel, per tacere dal ruolo di fucina che rivestono per le giovani leve. Sono oltre 22.000 gli alberghi in Italia dotati di un proprio ristorante ossia il 64,7% del totale. La Regione che vanta il maggior numero di alberghi con ristorante è il Trentino Alto Adige con 3.373 strutture seguita dall’Emilia-Romagna con 3.231, poi il Veneto con 2.457, la Lombardia con 2.127, la Toscana con 1.716, la Liguria con 1.488, la Campania con 1.096 ed il Piemonte con 1.086. Tra le Regioni che non superano la soglia dei mille ristoranti c’è il Lazio con 921 strutture, seguito dalle Marche con 909 alberghi. Infine l’Abruzzo con 679 strutture, la Sicilia con 553, la Calabria con 542 e la Sardegna con 526. Circa l’offerta gastronomica il 79% del campione dichiara di gradire nei menù degli hotel piatti della cucina italiana ed il 69,8% precisa di desiderare piatti tipici della cucina della Regione nella quale l’albergo è ubicato. Solo il 23,1% dichiara di gradire essenzialmente piatti della cucina internazionale.

PUBBLICI ESERCIZI
COSTUMER-CENTRIC E’ LA NUOVA FILOSFIA

Gli alti lai che Confcommercio, Confesercenti e privati imprenditori lanciano un giorno si e l’altro ancora riguardo le continue forzate chiusure di pubblici esercizi che non ce la fanno più strozzati da tasse, gabelle, pizzi e tangenti stringono il cuore. Poi però, se vai a scavare un poco più a fondo, pur essendo concrete le realtà prima accennate, scopri che i “poveri” esercenti proprio poveri non sono. La maggior parte di questi operatori mancano di lungimiranza. Salvo debite eccezioni non guardano più in là del loro naso, insomma sono (senza offesa) dei bottegai preoccupati di curare soltanto il proprio orticello mentre la società, e di conseguenza attese ed esigenze cambiano rapidissimamente. Il caso dei panificatori milanesi è emblematico. Qualcosina si muove ma è davvero poco. In giro per l’Europa, per tacere degli Usa, non è raro imbattersi in negozi di abbigliamento dove è possibile tagliarsi i capelli o mangiare una pizza, e librerie dove si può prendere un aperitivo mentre si sfoglia un libro adagiati su apposite comode poltroncine. E' la filosofia customer-centric. Oggi, per conquistare il cliente bisogna anche farlo svagare, rilassare, offrigli di più, “incatenarlo” o se si preferisce, fidelizzarlo. Un negozio che funziona, un esercizio cool (come dicono quelli che parlano bene) raramente è ciò che vende ma sempre di più ciò che offre. Qualche esempio colto in giro: nelle caffetterie Starbucks si può portare il proprio pc per collegarsi in modalità wireless al web, ovviamente gratis. E così le migliaia di Starbucks disseminati nelle più grandi città americane ma anche nelle più sperdute contrade dell’Arkansas o del Missouri (e ora anche in Gran Bretagna) sono diventati uno dei luoghi d’incontro preferiti da studenti e manager che tra un doppio espresso e un “frappuccino”, (è il più richiesto, oh yes) si scambiano file elettronici. Al Nail bar di Londra durante la pausa pranzo è possibile farsi fare la manicure operazione assai gradita dalle donne sempre più indaffarate ma in pari tempo non disposte a rinunciare alla cura di sé. Alcuni supermercati inglesi hanno iniziato ad offrire in vendita alla clientela, assieme a patate, formaggi, detersivi e pannolini, anche consulenze legali e negli Usa, in alcuni superstor ci si può far visitare da un medico e avere l’assistenza di una infermiera oltre che acquistare tutti i farmaci eventualmente necessari. Tutto serve a stupire, a coinvolgere, ad attrarre e mantenere il cliente. Stravaganze? Mica tanto.
Fare shopping, che letteralmente significa "andare per negozi", non è più ritenuta una pratica noiosa ma è diventata per molti un vero e proprio passatempo sia per single sia per la famiglia. Dalle nostre parti l’esempio più eclatante è l’Ikea: vedere l’affollamento nei week end per credere. D’acchito non lo si comprende, ma non si vendono più dei beni ma stili di vita. Dietro ci sono cervelloni del marketing strategico che studiano, propongono, testano, inventano nuovi stimoli e nuove soluzioni per catturare il consumatore. Sotto il profilo sociale tutto ciò può essere discutibile ma se lo si analizza dal punto di vista del commerciante c’è da imparare. E questa palmare tendenza dovrebbe valere soprattutto per quegli esercizi del settore cosiddetto “ristoro”, ossia bar, pasticcerie, sale da te, wine bar, ristoranti, eccetera. Tuttavia, guardandoci attorno non è proprio così. Questi locali fanno il loro mestiere, spesso molto bene, ma si fermano a quello. Sia chiaro, giusto privilegiare investimenti su materie prime, su professionisti dei forni e dei fornelli, sull’igiene del locale, sul vasellame, sui tovagliati eccetera, ma oggi, o al massimo domattina, tutto ciò non basterà più. Certo, l'intrattenimento non dev’essere fine a se stesso ma parte integrante nell'offerta complessiva del negozio contribuendo a costruire un'immagine di marca (o di insegna) anche se in prima battuta parrebbe incoerente con il posizionamento e la linea commerciale del punto di vendita. In sostanza, proporre un ottimo caffè con la miscela giusta e con una gamma di dolcificanti e un cioccolatino, paste e pasticcini freschi di forno, un profumato e ricercato te verde cinese, un bicchiere di Sassicaia con una noce di Castelmagno, sono (prezzo a parte) ottimi appeal, ma non bastano poiché sciaguratamente molto pochi sanno apprezzare questi sforzi qualitativi. Il cliente ama essere stupito, sorpreso, sedotto con offerte di servizi inusitati anche se all’apparenza fuori contesto. La liberalizzazione delle licenze, peraltro, lo consente. I ristoranti che ospitano ponderose ancorché noiose sessioni sullo stoccafisso piuttosto che sul tapulone o su una degustazione verticale di Barolo, quella sera saranno completi. Ma solo quella sera. Se invece in quegli stessi ristoranti, ma vale anche per certi lunge bar, si potesse, per esempio, ballare con della musica d’ambiente (non occorre un’orchestra basta un bravo tastierista) come succede in tutta Europa, Asia e America, pieni lo sarebbero ogni sera, perché non lo ha prescritto il medico che per fare quattro salti è obbligatorio andare nelle disco o in balera. Cosa di meglio dopo una buona cena o un buon cognac in un locale ben aerato, con la giusta illuminazione e con tavoli ben distanziati che uno slow, un valzer lento e perché no, un cha cha cha? Ok, ci vogliono delibere, scartoffie, permessi Siae, ecc. Vero purtroppo. Ma le organizzazioni di categoria alle quali fare pressioni in questo senso cosa ci stanno a fare? Solo a riscuotere quote associative, procacciarsi voti e spendere i soldi degli associati per fare speculazioni borsistiche o erigere sedi faraoniche?

ACQUISTI
PER NATALE I BUONGUSTAI COMPRANO SPECIALITA’ ALIMENTARI ON LINE
Le stime riguardo gli acquisti natalizi degli italiani dicono che si faranno mediamente tra 5 a 10 regali pro capite a parenti e amici. Un’indagine condotta da Esperya, portale specializzato nella vendita on line di prodotti alimentari italiani tipici e di alta qualità, specifica che le scelte fatte sul web riguardano in buona percentuale soprattutto prodotti enogastronomici. Le risposte ad un questionario inviato per posta elettronica, indicano che per il Natale 2005 circa il 90% degli intervistati ha dichiarato di aver scelto di acquistare attraverso Internet questi prodotti con un incremento del 30% rispetto all'anno scorso. Per quanto riguarda le scelte, le preferenze si orientano sui prodotti tipici italiani: il 78% degli interpellati sceglieranno di mandare all' estero o in Italia prodotti alimentari o enologici di alta gamma. Circa l'aspetto del regalo, una elegante confezione è considerata importante per il 41%, anche se nella maggior parte dei casi (51%) sembrano bastare alcuni dettagli come il biglietto di auguri allegato ritenendo sufficientemente rappresentativo il contenuto. Riguardo il mezzo di pagamento di gran lunga preferito è la carta di credito (82%) contro il bonifico bancario (10%) o il contrassegno (8%).
Sin qui i risultati dell’indagine anche se occorre precisare che il campione non è esattamente rappresentativo della popolazione poiché scelto nel parco clienti della società committente che appunto vende prodotti di alta enogastronomia. Un fatto comunque è acclarato: trattasi di buongustai più o meno conclamati o comunque persone dotate di buon gusto ancorché di praticità. Infatti l’e-commerce, pur stentando dalle nostre parti a decollare, in questi casi e in questi frangenti (leggi caos prenatalizio) risponde pienamente alle esigenze di acquisti mirati, personalizzati e personalizzabili, di sicura provenienza e con garanzia di puntuali consegne. Ulteriore nota positiva, la constatazione - ancora non statisticamente misurabile ma sufficientemente ben percepita - della crescita dei doni di prodotti alimentari dopo la battuta d’arresto subita negli ultimi tre anni. Ciò è confortante considerando che gli input relativi alla regalistica sono massicci e molto pubblicizzati riguardanti soprattutto prodotti informatici, abbigliamento, gioielleria e profumeria. Pertanto la scelta di beni alimentari, in particolare di alta gamma, ha altresì la funzione di divulgare l’italian food e beverage facendo implicitamente opera educazionale del buono ed il bello: non solo da pensare ma da gustare.