AGRICOLTURA E DINTORNI

A cura di Luisa Doldi ed Emanuela Stìfano [agricoltura@asa-press.com]


Land grabbing: speranza o neocolonialismo?




Gli anni recenti hanno visto la nascita e l’affermarsi di un nuovo fenomeno: l’acquisto o affitto da parte di governi o aziende straniere di vaste aree di terra in Africa, Asia e Sudamerica per proprio uso privato. Questa pratica prende il nome di land grabbing, dal verbo inglese to grab che tra i suoi significati annovera anche “prendere, conquistare”.

Terre che fino a poco tempo fa sembravano essere al di fuori degli interessi di chiunque, sono ora ricercate da investitori internazionali al ritmo di migliaia di ettari alla volta. I governi preoccupati di stabilità e sicurezza alimentare promuovono l’acquisto di terreni in paesi stranieri come alternativa all’acquisto di cibo sul mercato internazionale; i paesi recipienti danno il benvenuto a questa nuova ondata di investimenti stranieri e stanno implementando riforme legislative per attrarre investitori internazionali.

Tra i paesi africani, l’Etiopia è uno di quelli particolarmente interessati da questo fenomeno. In un’intervista rilasciata nel 2010 alla BBC, il ministro etiope per l’agricoltura Abera Deressa afferma da una parte la convinzione che solo pesanti investimenti stranieri possano trasformare l’economia rurale del paese e dall’altra la speranza che tali investimenti possano provvedere alla nazione l’auto-sufficienza alimentare, far crescere l’agricoltura, migliorare le infrastrutture anche nelle regioni più trascurate del paese e creare migliaia di posti di lavoro per la popolazione locale. L’opposizione di quest’ultima al commercio della propria terra sarebbe dovuta semplicemente a ignoranza di tali vantaggi, afferma il governo. Poiché quasi tutta la terra in Etiopia è ufficialmente proprietà dello Stato, esso ha il diritto di affittarla o venderla come e a chi meglio crede.

Lorenzo Cotula, senior researcher International Institute for Environment and Development e co-autore dello studio“Land grab or development opportunity” (2009) afferma che contratti e investimenti ben strutturati potrebbero effettivamente garantire nei paesi recipienti posti di lavoro, infrastrutture e migliori raccolti. Potrebbero…
Il fenomeno sta raggiungendo livelli ragguardevoli. Cosi come allora si parlò di corsa dell’oro (gold rush), c’e’ qualcuno che ha iniziato a parlare di corsa alla terra (land rush). A guidare questa corsa sono multinazionali dell’agrobusiness, banche, fondi di investimento; tra i paesi soprattutto India, Cina, Arabia, alcuni paesi europei.

Nel novembre 2010 si è tenuta a Ginevra la conferenza “Global AgInvesting Europe”, che ha riunito per la prima volta aziende che raccolgono capitali per investirli a livello globale in terreni agricoli ed investitori che da questo tipo di investimento si aspettano rendite sicure e proficue. Quello che altrove si chiama “land grabbing” viene indicato in questo cerchio di persone con il nome altisonante di “investimenti stranieri in agricoltura”. Anche il continente americano ha il suo portfolio di conferenze sugli investimenti in terreni agricoli. La terra fa gola… Con una popolazione mondiale in crescita, aumenta anche la richiesta di cibo. A questo si aggiungono le richieste di biocarburanti… ma la quantità di terra a disposizione non solo è costante, ma anche limitata. La terra acquista valore, è un bene stabile, non sottostà all’altalena dell’inflazione... Insomma è in odore di investimento sicuro e redditizio.

Etiopia. ”Questo paese è fatto per produrre verdura – afferma il proprietario di una delle tante aziende agricole. Lui, olandese, si è accorto come produrre in Etiopia sia molto più redditizio che produrre in Europa ed oggi possiede ben 150 ettari su cui coltiva asparagi, peperoni, pomodori… tutta verdura di altissima qualità. “In Etiopia puoi produrre tutto l’anno, a diverse altitudini e temperature. Noi produciamo circa 180.000 Kg di verdura a settimana per un valore di 200.000 $ a settimana”. Ma sui mercati locali non vi è traccia di tali prelibatezze! La verdura va a soddisfare i bisogni di hotel a 5 stelle in Arabia Saudita, Qatar, Dubai. Agricoltura hi-tech, dove con input meccanici e chimici di prim’ordine si produce verdura a 5 stelle per i baroni del petrolio, sul terreno di questa terra che conta 2,8 milioni di persone che dipendono da aiuti umanitari per l’approvvigionamento quotidiano di cibo!

In una intervista alla radio austriaca, Susan Payne, chief executive del fondo di investimento Emergent Asset Management in Gran Bretagna, afferma: “L’Africa e’ per noi il continente migliore in cui investire: e’ enorme e dispone di immense distese di terra non ancora coltivata, circa il 60% di quanto a disposizione a livello mondiale; ha tanta forza lavoro paziente e volenterosa, che già per il 70% lavora nella agricoltura. Nel 2005 abbiamo iniziato un progetto pilota in Zambia. In tre anni abbiamo realizzato ricavi del 121%”. Qui agricoltura è sinonimo di high tech, monocoltura, input chimici e tecnologici ad alta efficienza, irrigazione, utilizzo di satelliti per individuare la terra migliore. Susan Payne: ”In Africa la terra è ancora a buon prezzo, ma sicuramente nei prossimi cinque anni la situazione cambierà. Oggi in Africa puoi ancora comprare terreno agricolo di prima qualità a 800-1000$/ettaro; in Brasile siamo sui 5000-6000$, in Germania si superano i 15.000$”.

A parte verdura a 5 stelle, sono soprattutto le monocolture che vengono impiantate su tali terreni. Da poco alle monoculture da florovivaismo e per la produzione di derrate alimentari si è aggiunta la coltivazione di piante per bioenergie, coltivazione che qui assume gli aspetti più negativi che si possano immaginare, ben lontani da quello che è il senso originario della produzione di agroenergie: disboscamenti, aratura profonda, sfruttamento massimo del suolo, monocultura.

Secondo Susan Payne la popolazione locale è “entusiasta” di questi investimenti, perché in cambio riceve infrastrutture, servizi, trasporti. Insomma, riceve in cambio di poter vivere con un minimo di decenza sulla terra che lavora ma che non gli appartiene più.
Lorenzo Cotula afferma che contratti e investimenti ben strutturati potrebbero effettivamente garantire un miglioramento nella vita delle popolazioni locali, ma afferma anche che, se gestiti male, potrebbero essere causa di grande povertà, soprattutto per le popolazioni locali, escluse dalle decisioni e dai profitti della loro stessa terra… E ci viene in mente che il verbo inglese to grab tra i suoi significati annovera anche “arraffare”.

A cura di M.Luisa Doldi


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